Martedì 27 aprile il Ministero degli Esteri spagnolo rendeva nota la morte dei reporter David Beriain e Roberto Fraile, uccisi in un attacco perpetrato da presunti jihadisti nel sud-est del Burkina Faso; nell’assalto rimaneva ucciso anche il cittadino irlandese Rory Young, a capo dell’organizzazione Chengeta Wildlife, molto attiva nell’anti-bracconaggio in tutto il Continente nero. I tre giornalisti stavano realizzando un documentario per l’emittente televisiva spagnola Movistar sulla caccia di frodo ed erano in viaggio verso la riserva di Pama assieme ad una pattuglia anti-bracconaggio. L’attacco è avvenuto nei pressi della città di Natiaboani e secondo le testimonianze locali, il numero degli assalitori superava di gran lunga quello delle guardie armate che affiancavano i reporter (una quarantina). Gli assalitori sono arrivati a bordo di due pickup, numerose moto e dopo l’assalto hanno rubato tutto quello che potevano: jeep, armi, attrezzature varie e benzina.
Il sito Defenceweb South Africa ha reso noto che l’unità affiancata al gruppo era parte di una nuova task force formata da personale militare, della polizia e delle guardie forestali che avevano appena terminato un periodo di addestramento di sei mesi.
Rachid Palenfo, a capo di una task force per la sicurezza in Burkina, ha poi illustrato come il convoglio sia stato attaccato in una zona ben precisa con molta vegetazione e strade in pessime condizioni. Un punto ideale per un assalto a sorpresa. Ciò indica chiaramente come gli assalitori conoscessero molto bene il territorio, forse più della medesima task force di scorta ai reporter.
Nusrat al-Islam indicata come possibile responsabile
Le autorità del Burkina non hanno ancora identificato i responsabili dell’attacco ed anche se allo stato attuale nessuno ha ufficialmente rivendicato nulla, l’Associated Press ha riferito di aver sentito un messaggio vocale in cui presunti assalitori appartenenti alla formazione jihadista Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin (nota anche come Nusrat al-Islam) si attribuiscono la responsabilità dell’agguato.
Nusrat al-Islam, gruppo di stampo qaedista, nasceva nel marzo del 2017 dal confluire di jihadisti provenienti dalle formazioni al-Morabitun assieme ad Ansar Dine, al ramo sahariano di al-Qaeda nel Magherb Islamico (Aqim) e a Katiba Macina (capeggiata dal marabutto Amadou Koufa); il leader di questa nuova formazione veniva indicato in Iyad Ag Ghaly, precedentemente a capo di Ansar Dine.
Nel maggio del 2020 l’ISIS, tramite la rivista al-Naba, puntava il dito contro Nusrat al-Islam, accusandola di aver mobilitato ingenti forze per attaccare postazioni dello Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS) in Burkina Faso e Mali. Un’accusa che rimetteva in discussione precedenti informazioni che facevano pensare a una collaborazione tra qaedisti e ISIS nell’area.
L’ISGS andava poi ben oltre, accusando i qaedisti di aver accettato il dialogo con il governo maliano, di bloccare i rifornimenti diretti agli uomini del “Califfato”, di arrestarli e addirittura insinuando una possibile collaborazione con le forze armate francesi.
Nel 2020 i qaedisti hanno subito una serie di duri colpi per mano dell’esercito francese, operativo in loco con l’operazione “Barkhane”; in particolare, il 3 giugno veniva ucciso sul confine maliano-algerino il leader dell’AQIM, Abdelmalek Droukdel e pochi mesi dopo, il 10 novembre, toccava a Ba Ag Moussa, uno dei massimi leader di Nusrat al-Islam, eliminato assieme a quattro suoi luogotenenti.
Venti giorni dopo i jihadisti provavano una serie di attacchi contro basi francesi a Gao, Kidal e Menaka culminati però in un fiasco. Nel mese di gennaio 2021 i qaedisti perdevano un centinaio di uomini; il mese successivo Nusrat al-Islam si trovava costretta a ripiegare su un attacco contro un checkpoint dell’esercito maliano a Boni, non lontano dal confine con il Burkina, uccidendo dieci soldati maliani. Fonti francesi e maliane rivelavano malumori all’interno della formazione jihadista e persino alcune possibili diserzioni ed ipotizzavano come l’attacco dello scorso febbraio alla postazione militare maliana potesse essere un ripiego per mostrare di essere ancora in grado di colpire duramente.
I jihadisti attivi nel Sahel
Il fenomeno jihadista nel Sahel andava progressivamente diffondendosi in seguito alla cacciata, nel giugno del 2012, del Movimento di Liberazione Nazionale dell’Azawad (MNLA) nel nord del Mali (a sua volta insorto contro il governo centrale) per mano di Ansar Dine e MUJAO (Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale), a loro volta riforniti di armi grazie agli approvvigionamenti negli arsenali dell’ex esercito libico, oramai sguarniti.
Il MUJAO avanzava verso sud arrivando in poco tempo ad occupare Douentza, nella regione di Mopti. I primi di dicembre era invece Ansare Dine ad occupare la zona di Lerè, regione di Timbuktu. A gennaio 2013 partiva così la prima campagna francese, su richiesta del governo maliano e denominata operazione “Serval”.
Inizialmente i tre gruppi attivi nel Sahel maliano erano Ansar Dine, MUJAO e al-Qaeda nel Maghreb Islamico. Nell’estate del 2013 però, in seguito all’inizio dell’offensiva francese, una parte del MUJAO (alllora guidata da Ahmed Ould Amir) si univa alla brigata al-Mulathamin, capeggiata dall’algerino Mokhtar Belmokhtar e andavano a formare il gruppo al-Morabitun, composto in prevalenza da tuareg delle regioni maliane di Gao, Kidal e Timbuktu, ma con presenza anche di algerini, marocchini e tunisini.
Nel maggio del 2015 si creava una spaccatura all’interno di al-Morabitun, con la branca capeggiata da Adnan Abu Walid al-Sahrawi che si univa all’ISIS e nasceva così lo Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS), senza mai raggiungere però un numero di uomini particolarmente rilevante e con forze e attività di gran lunga inferiori rispetto ai qaedisti.
L’ISGS rimaneva infatti confinato nei pressi del confine tra Mali e Niger e a ridosso della frontiera con il Burkina, riuscendo a realizzare un numero molto limitato di attacchi, il più noto dei quali è quello dell’ottobre 2017 a Tongo-Tongo nel quale vennero uccisi quattro membri delle forze speciali statunitensi; sul terreno restarono però anche ventuno jihadisti dell’ISGS.
Lo Stato Islamico nel Grande Sahara è attualmente guidato da Adnan Abu Walid al-Sahrawi, ex membro del Fronte per la Liberazione del Polisario, poi passato a diverse formazioni qaediste tra cui la già citata al-Morabitun, prima di unirsi all’ISIS nel 2015.
Chi ha ucciso i reporter?
Nessuna formazione jihadista ha ancora rivendicato l’attacco nel quale sono rimasti uccisi i due reporter spagnoli, ma sono in molti a indicare la probabile responsabilità dei qaedisti. E’ infatti importante tener presente che già nel maggio del 2020 fonti francesi avevano segnalato la presenza di jihadisti di Nusrat al-Islam non solo in territorio burkino a ridosso del confine con il Togo, ma anche in territorio togolese (sempre a ridosso della frontiera) nelle zone di Sinkasse, Dapaong e Mandouri, a poco meno di 100 km dal luogo dell’agguato mortale.
E’ però altrettanto vero che i reporter spagnoli stavano realizzando un servizio sul bracconaggio, fenomeno particolarmente presente in quell’area ed erano in compagnia di Rory Young, attivista molto conosciuto in Africa e per niente amato da trafficanti e bracconieri. Un aspetto, questo, che fa sorgere tutta una serie di domande: chi poteva volerlo morto? A chi poteva dar fastidio un eventuale reportage trasmesso in Europa sul bracconaggio in quella zona dell’Africa? E’ plausibilissimo che siano stati i jihadisti ad attaccare, ma è bene tener presente che in quell’area del mondo jihadismo e criminalità si intrecciano con frequenza quando emergono interessi in comune o utili accordi.
Se da una parte la morte dei tre occidentali (e in particolare quella di Young) potrebbe essere un’ottima cosa per i gruppi di trafficanti e bracconieri, dall’altra i qaedisti avrebbero non solo colpito un target occidentale mostrando di essere tutt’ora in grado di colpire, ma si sarebbero anche impossessati di mezzi e materiale. Ovviamente queste sono soltanto ipotesi, nell’attesa che qualcuno rivendichi l’attacco.