Mercoledì 19 dicembre intorno alle 18:10 (ora locale) un soggetto armato ha aperto il fuoco all’esterno dell’edificio del Fsb, in piazza Lubyanka a Mosca, per poi fuggire in una via laterale dove si è barricato all’interno di un caseggiato. Le forze di sicurezza del Ministero dell’Interno (Mvd) e della Guardia Nazionale hanno evacuato la zona e isolato il killer che è poi stato abbattuto in seguito a un conflitto a fuoco. Il bilancio finale è di due morti (l’attentatore e un agente del Fsb) e cinque feriti (tra cui un civile).
Come quasi sempre accade durante e immediatamente dopo un attentato, le notizie sono limitate, confuse e contraddittorie. Si era inizialmente parlato di tre attentatori, notizia poi smentita dal Fsb. Alcuni testimoni avevano dichiarato che il killer aveva una barba “da salafita”. Anche questo smentito in seguito, quando verranno mostrare le immagini del corpo dell’attentatore.
Le informazioni emerse nelle successive ore permettono di fornire un quadro più chiaro dell’accaduto, seppur con molti quesiti ancora irrisolti.
La ricostruzione
Secondo le ultime ricostruzioni, l’attentatore ha aperto il fuoco con un fucile Ak104 Mk03 “Saiga” contro alcuni agenti presenti all’esterno del palazzo del Fsb in piazza Lubyanka per poi fuggire, braccato, in Bolsahya Lubyanka street dove si è barricato all’interno di un palazzo. A quel punto sono giunte sul posto le squadre speciali del Ministero dell’Interno che hanno evacuato la zona e hanno poi dato inizio a uno scontro al fuoco e hanno eliminato il killer.
Oltre al fucile “Saiga”, l’assalitore era in possesso di una pistola, un coltello, un ordigno esplosivo improvvisato (Ied) collegato a un telefonino e alcune granate.
Il profilo dell’attentatore
L’attentatore è successivamente stato identificato come Evgeny Manyurov Fathikovic, 39enne cittadino russo di origini tartare, residente a Podolsk, complesso urbano nella cintura meridionale di Mosca.
Manyurov risulta aver studiato Giurisprudenza presso l’Università Statale russa ed era anche iscritto a un corso di analisi sociologica della comunicazione pubblicitaria presso la Higher School of Economics (HSE), la cui sede è a due passi proprio da piazza Lubyanka.
Manyurov aveva inoltre aperto una società di consulenza attiva nel settore commerciale, ma era stato obbligato a chiuderla nel 2015 a causa di irregolarità non meglio precisate. In seguito, il killer aveva lavorato come guardia giurata per diversi datori tra cui l’ambasciata degli Emirati e si era addirittura speculato di un possibile collegamento tra questo impiego e la sua radicalizzazione, speculazione non confermata e difficile da credere. Attualmente Manyurov risultava disoccupato.
Soggetto, introverso e solitario, single, con problemi di pressione alta, appassionato di armi e assiduo partecipante a gare di tiro, non risultava però essere un gran tiratore, almeno secondo quanto riferito da alcuni conoscenti e da un ex istruttore che precisava come il killer si fosse allenato per circa tre mesi ma senza grossi risultati.
Manyurov non aveva prestato servizio militare, ma girava spesso in mimetica e nella sua abitazione gli agenti del Fsb hanno ritrovato due fucili “Saiga”, altri due a canna liscia e parecchie munizioni.
Il movente dell’attacco
Non risulta ancora chiara la motivazione che ha spinto l’attentatore a colpire, ma ci sono alcuni elementi che è utile elencare, nell’attesa che le indagini facciano il loro corso:
- L’attentato ha avuto luogo in un luogo chiave dell’intelligence russa, la “Lubyanka”, da sempre sede dei servizi segreti, a 10 minuti di cammino dal Cremlino;
- L’attentato è avvenuto il giorno prima del 102° anniversario della nascita della Ceka (20 dicembre 1917), poi divenuto Kgb e infine Fsb;
- Per l’occasione era stata indetta la “Giornata della Sicurezza” e il presidente russo Vladimir Putin stava tenendo un discorso per “La Giornata della Sicurezza” (non all’interno della Lubyanka, secondo le informazioni in possesso);
- La madre dell’attentatore ha reso noto che il figlio era in contatto telefonico con alcuni arabi, aggiungendo di non capire cosa si dicessero perché parlavano in inglese;
- Fonti russe affermano che Manyurov era di origini etniche tartare e ciò si potrebbe ricollegare, come possibile movente ideologico, agli arresti di alcuni islamisti tartari legati all’organizzazione islamista radicale Hizb ut-Tahrir condannati da un tribunale militare di Rostov a pene dai 7 ai 18 anni lo scorso novembre. [1] Ovviamente è solo un’ipotesi.
- Alcuni testimoni avrebbero sentito il killer inneggiare all’Isis; testimonianza da prendere con le pinze, considerando anche l’iniziale descrizione del soggetto in questione “con barba salafita”, rivelatasi poi errata.
L’attentatore questa volta non è un soggetto con un passato criminale e un basso livello d’istruzione, ma un laureato con specializzazione, seppur con percorso lavorativo accidentato.
I pochi dettagli che emergono lo dipingono come un soggetto solitario, psicologicamente instabile e dunque facile preda della propaganda islamista radicale. A questo punto sarà fondamentale capire i “triggers” che hanno spinto Manyurov a colpire, analizzando eventuali contatti intrattenuti dal soggetto nella fase precedente all’attivazione violenta (contatti fisici, telefonici e virtuali).
Il target risulta chiaro, voleva colpire le Istituzioni e precisamente quelle che si occupano della sicurezza della Federazione e in un giorno chiave, ribattezzato “Giornata della Sicurezza”, quasi a voler mettere in imbarazzo il Cremlino, colpendo a poca distanza e in giornata simbolica. Un attacco che avviene tra l’altro dopo una lunga fase di calma per quanto riguarda l’attività terroristica in Russia e nel Caucaso settentrionale.
[1]Muslim Aliyev (19 anni di reclusione), Enver Bekirov (18 anni), Vadim Syruk (12 anni), Emir-Huseyn Kuku (12 anni), Refat Alimov (8 anni) e Arsen Dzhepparov (7 anni).