Questo pomeriggio a Melbourne, sulla trafficata via commerciale Bourke Street, un soggetto ancora non identificato avrebbe scagliato il suo pick up – carico di bombole di gas – contro un centro commerciale, dato alle fiamme il mezzo e poi accoltellato 3 persone, uccidendone una e ferendone altre 2.
All’arrivo della polizia, l’uomo si sarebbe lanciato all’assalto degli agenti venendo neutralizzato. L’attentatore è morto poco dopo in ospedale.
Le autorità stanno trattando l’episodio come atto di terrorismo e Daesh ha prontamente rivendicato tramite l’agenzia Amaq. Sebbene il movente jihadista necessiti ancora di essere confermato, il modus operandi messo in atto dall’attaccante risulta:
- Ascrivibile alla metodologia operativa del lone jihad, ampiamente rilanciato dalla propaganda jihadista sia ufficiale che spontanea attraverso per esempio prodotti quali Inspire, Rumiyah o Knights of lone jihad;
- Simile a quello implementato, ormai frequentemente dal 2015 ad oggi, in Australia come anche in Europa ed in altri contesti internazionali, da jihadisti o da soggetti psicologicamente o socialmente disagiati.
Per quanto riguarda la paternità di Daesh e l’attendibilità della rivendicazione si possono considerare diversi fattori.
Il messaggio diffuso dal gruppo è sì avvenuto a poche ore di distanza ma secondo una formula ormai “standard”, tendente a identificare l’autore come un “soldato del califfato” che ha agito “rispondendo alla chiamata” a colpire i nemici di Daesh.
Proprio il riferimento alla chiamata in questo caso può essere di particolare importanza: il 30 ottobre infatti è stato diffuso l’ottavo episodio della serie Inside the Khilafah nel quale si preme con forza – tra i molteplici temi – perché i veri fedeli emigrino per combattere nelle terre del “califfato” oppure diffondano terrore nei Paesi dove si trovano.
Molti i riferimenti anche operativi che seppur “classici” vengono continuamente riproposti nella propaganda: attacchi con coltelli, esplosioni, veicoli lanciati a velocità elevata sulla folla. I fatti di Melbourne sembrano accogliere tali indicazioni ma con una potenziale pecca: la mancata (ad ora) rivendicazione da parte dell’autore nel quale attesta la propria fedeltà al “califfo”.
Nel frattempo, il paradigma dell’inversione dell’onere della prova al quale Daesh ci ha abituato rimane valido e resta, ancora una volta, responsabilità del nemico provare la colpevolezza dell’organizzazione terroristica.
Se contestualizzato all’interno del corrente periodo del post-Califfato fisico, l’episodio di Melbourne rappresenta comunque un’importante opportunità per il Daesh per rilanciarsi a livello globale, riaffermando la propria rilevanza.
L’incidente inoltre permette di iniziare a formulare una visione più ampia riguardo attacchi di questo tipo e più in generale su come la società stia cambiando in seguito al loro verificarsi.
Prendendo in considerazione il solo contesto europeo, durante gli ultimi tre mesi episodi simili a quello della capitale dello stato australiano di Victoria si sono verificati nelle stazioni di Amsterdam (agosto 2018) e di Colonia (ottobre 2018), nonché nella parigina Bassin de la Villette (settembre 2018), senza contare gli attentati sventati in questi ultimi 100 giorni.
Alla luce di quanto appena riportato, la ripetitività degli incidenti registrati (ultimi di una lunga serie) annullerebbe il carattere straordinario dell’evento trasformandolo in un fenomeno ordinario. Con il passaggio da evento ad episodio di attacchi di questo tipo si potrebbe arrivare ad un secondo passaggio, quello dalla “normalità” a quello della “nuova normalità”.
All’interno di questo scenario vi è la sfida ad accettare la possibilità che atti di questo tipo potrebbero accadere con maggiore frequenza e stimolare un mutamento interno da parte delle nostre società che necessitano di sviluppare resilienza.
Attacchi “solitari” e jihadisti ma provenienti anche – e in misura crescente – da formazioni politiche dedite all’estremismo violento sono infatti sempre più numerosi e il modo in cui le società metabolizzeranno tale fenomeno e come decideranno di affrontarlo saranno determinanti per il futuro.