Le continue notizie di raid contro migranti, insulti razzisti e attacchi contro immigrati presenti nei centri di accoglienza impongono una riflessione circa la reale situazione del fenomeno e l’impatto che esso provoca sulle persone coinvolte.
Certamente non possiamo negare che eventi di questo tipo – non solo a sfondo razziale, ma anche nei confronti di donne o diversamente abili- stiano andando intensificandosi in un clima sociale generale di sfiducia, pregiudizio e paura.
Esistono una serie importanti di riflessioni che necessitano di essere prese in considerazione per avviare una sistematizzazione della materia:
- in Italia non esiste un corpus omogeneo di studi come invece presenti nell’ambito internazionale e definito Hate Studies: sarebbe quindi importante iniziare una tradizione di ricerche e studi proprio in questo ambito, così da poter meglio comprendere quali tipologie di attivatori giochino un ruolo e quali strategie essi utilizzino. In questo modo, secondo un approccio predittivo si sarà anche in grado di meglio delineare i fattori potenziali di attivazione e gli effetti che generano in termini di impatto non solo sulle vittime, ma sul contesto sociale più allargato
- diversi report fra cui l’ultimo dell’European Union Agency for Fundamental Rights riportano la mancanza di dati disponibili per l’Italia circa le sentenze relative a crimini d’odio e al fenomeno stesso. Questa difficoltà di raccolta e sistematizzazione dati deriva in parte da un limite legale che vede l’ambito giuridico e soprattutto la fattispecie di reato di difficile definizione per l’individuazione della motivazione che conduce ad un crimine d’odio; dall’altra una difficoltà intrinseca alla possibilità di utilizzo delle fonti e dei dati non sensibili
- una maggiore sistematizzazione legale e metodologica è auspicabile se si vuole intervenire nella comprensione di fenomeni sempre più polarizzati ed estremisti, a prescindere dalla loro matrice ideologico e motivazionale
Non esistono solo hate crime però. L’odio circola anche a parole siano essere scritte o comunicate oralmente.
In questo ambito un’importanza strategica risiede nella comprensione delle dinamiche d’odio attraverso i social media.
Un progetto interessante che ha dato molti spunti di riflessione è quello della Mappa dell’Odio promossa da Vox diritti arrivata alla terza edizione.
Il progetto si propone di analizzare i Twitter dei cosiddetti odiatori sociali, cercando di comprenderne non solo la semantica, ma anche le dinamiche relazionali e comunicativi che sottendono l’invio di messaggi d’odio.
E’ stata presentata una analisi interessante dei dati raccolti (qui) con l’obiettivo di comprendere l’evoluzione di questo fenomeno e il ruolo dei social media nelle dinamiche comunicative.
I cambiamenti profondi che hanno attraversato la società italiana negli ultimi anni meritano quindi molta più attenzione di quanta finora non sia stata a loro dedicata, soprattutto se si legano e si leggono tali dinamiche d’odio o di intolleranza alla luce dell’estremismo politico.
Il loro monitoraggio, studio e analisi appaiono quindi essenziali proprio perché conflitti importanti e di difficile gestione possono scaturire, se odio e pregiudizi non verranno compresi e identificati nello loro cause essenziali.