All’interno di un interessante articolo pubblicato questo mese dal Middle East Institute, intitolato “Out of the Desert ISIS’s Strategy for a Long War”, l’autore Hassan Hassan analizza la strategia che il Daesh starebbe attualmente mettendo in atto in Iraq e Siria con l’obiettivo di riemergere.
Secondo l’autore, l’organizzazione terroristica continuerebbe a modellare la sua riorganizzazione sulle “lesson learned” che dalla caduta del Islamic State in Iraq (ISI), nel 2008-2009, hanno progressivamente portato alla fondazione del Califfato nell’estate del 2014.
Lezioni che sarebbero state riassunte all’interno del documento strategico islamista “Strategic Plan to Improve the Political Standing of the Islamic State of Iraq” (2009).
La disamina dell’analista, solidamente supportata da puntuali riferimenti alla propaganda jihadista e agli avvenimenti sul campo, metterebbe in evidenza una strategia fondata sulla logica della cosiddetta “Guerra di Logoramento” (nikayah) e su tre capisaldi: Sahraa (deserto), Sahwat (opposizione sunnita) e Sawlat (operazioni “colpisci e scappa”).
Ovvero, un disegno incentrato: sull’utilizzo delle aree desertiche come centrale operativa, sull’eliminazione di ogni tipo di opposizione in grado di occupare il vuoto lasciato dalla caduta del Califfato e dall’insurrezione come forma operativa.
Oggi, a differenza del 2009 però, lo Stato Islamico si è fatto globale, permettendo all’organizzazione terroristica di (potenzialmente) replicare la sua “vincente” pianificazione strategica all’interno di tutti quei quadranti in cui è presente e che si prestano alla sua applicazione, delocalizzando e moltiplicando la minaccia irradiata dal gruppo.
La strategia califfale paleserebbe altresì una falla: l’estrema e aperta violenza del Daesh motiverebbe l’opposizione della popolazione locale.
Citando al Adnani: “Victory is when the enemy is defeated. Do you think, O America, that defeat is the loss of a city or a land? Were we defeated when we lost cities in Iraq and were left in the desert without a city or a territory? Will we be defeated and you will be victorious if you took Mosul or Sirte or Raqqa or all the cities, and we returned where we were in the first stage? No, defeat is the loss of willpower and desire to fight”.
Stando a tale dichiarazione il perno centrale sarebbe costituito dall’incrollabile volontà di combattere che, se messa insieme al tallone d’Achille sottolineato in precedenza (ossia l’opposizione della popolazione locale), potrebbe suggerire un’azione di contrasto capace di:
- Mantenere alta la pressione militare sul Daesh, focalizzandosi sulla bonifica delle sue basi operative nelle aree rurali, depauperandone le risorse, e concentrandosi sul potenziamento dell’attività di counter-insurgency, dovunque l’organizzazione terroristica sia presente, in maniera da togliergli il respiro, stressandola, con l’obiettivo di ledere il morale dei combattenti e di ridurne la capacità e volontà di combattere;
- Potenziare l’opposizione locale al Daesh attraverso l’inclusione sociopolitica degli attori marginalizzati, nonché la stabilizzazione e lo sviluppo dei contesti di crisi all’interno dei quali il germe jihadista radica e cresce.