Terrorismo in Tajikistan – by Giovanni Giacalone e Marco Maiolino

Lo scorso 30 luglio due ciclisti statunitensi, uno svizzero e uno olandese sono stati deliberatamente investiti e uccisi in Tajikistan mentre altri tre sono rimasti feriti. Il fatto è avvenuto nel distretto di Danghara, a circa 70 km a sud-est della capitale Dushanbe.

Una volta colpiti i ciclisti, i terroristi sono scesi dall’automezzo armati di coltelli ed armi da fuoco leggere, uccidendo i superstiti.

Le autorità tajike hanno reso noto di aver neutralizzato sette individui sospettati di essere coinvolti nell’attacco. Nel contempo il Daesh ha rivendicato l’attentato: prima nella giornata di lunedì ma senza fornire prove a riguardo; il giorno successivo nuovamente con un filmato della lunghezza di due minuti e quaranta secondi nel quale si vede un gruppo di cinque giovani jihadisti che parlano tajiko e giurano fedeltà ad al-Baghdadi. Nel video non vi è però alcun riferimento all’attacco di Danghara.

Martedì mattina il Ministero degli Interni tajiko rendeva noto che, tramite la confessione di uno dei sospettati posti in stato di arresto, si era appreso che il leader della cellula jihadista avrebbe ricevuto addestramento in Iran e che i terroristi avevano in programma di rifugiarsi in Afghanistan dopo l’attacco.

Le autorità tajike punterebbero però il dito contro il partito islamista Islamic Renaissance Party of Tajikistan (IRPT), legato alla galassia della Fratellanza Musulmana e messo al bando nel 2015 con l’accusa di aver progettato un colpo di stato[1]. Il partito ha però già espresso pubblicamente le sue condoglianze verso le vittime e i rispettivi Paesi.

L’IRPT ha tra l’altro un referente afghano di etnia tajika, la Jamiat e-Islami, che dal 1968 al 2011 venne guidato da quel Burhanuddin Rabbani che svolse il ruolo di presidente dello Stato Islamico di Afghanistan dal 1992 al 1996.

In territorio tajiko operano anche l’Islamic Movement of Uzbekistan (parte del Daesh) e l’Islamic Jihad Union, staccatasi dall’IMU e di stampo qaedista.

Analizzando l’attacco si può aggiungere:

  • L’obiettivo Occidentale, turisti, in un’area che risulterebbe tranquilla e frequentata da numerosi appassionati escursionisti e il fatto che gli assalitori sarebbero scesi dal mezzo già armati (preparati) per giustiziare i superstiti, farebbe ipotizzare ad una certa pianificazione dell’attacco. Progettazione che verrebbe avvalorata anche dal video di giuramento di fedeltà al sedicente califfo, già registrato in passato da numerosi altri attentatori del Daesh, come per esempio: Muhammad Riyad (luglio 2016), Mohammad Daleel (luglio 2016), Abu Jalil al Hanafi (luglio 2016), Uthman Mardalov e Salim Israilov (agosto 2016), Anis Amri (dicembre 2016), Masa’ud al-Surghuti (agosto 2017), l’attentatore di Grozny (marzo 2018) e Khamzat Azimov (maggio 2018)[2].
  • Il fenomeno jihadista risulta aver storicamente contraddistinto le repubbliche centro asiatiche ex sovietiche sia sotto forma di separatismo, sia attraverso l’influenza di al Qaeda. Per l’appunto, la militanza centro-asiatica svolse un ruolo di primo piano già all’inizio del duemila con un considerevole numero di foreign fighters finiti nelle file qaediste. Non a caso una nota base di addestramento di al-Zarqawi era a Fergana, in Uzbekistan.
  • Tajikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan e Kirghizistan avrebbero poi fornito almeno 4200 foreign fighters al sedicente Califfato in Iraq e Siria, più di 1300 solo i tajiki, 94 dei quali rientrati a casa e 781 inseriti in una black list del governo.
  • Il jihad afgano e quello centro asiatico risulterebbero correlati e numerosi miliziani provenienti dalle 5 repubbliche ex sovietiche sarebbero ancora oggi impegnati al fianco sia dei talebani che della branca afgana leale al Daesh.

L’episodio di Danghara potrebbe dunque essere sia il frutto del terrorismo autoctono tajiko, magari di tipologia lone-jihad (visto bersaglio e modus operandi), sia la risultante di un attentato architettato altrove e capace di resuscitare il fantasma dei returnee.

In ogni caso, l’obiettivo è stato raggiunto, il terrore diffuso e l’attacco descritto sottolinea come il pericolo jihadista sia tutt’altro che esaurito nel post Califfato.

[1] https://worldview.stratfor.com/article/tajikistan-islamist-partys-growing-significance

[2] https://www.longwarjournal.org/archives/2018/07/assailants-in-tajikistan-swore-allegiance-to-baghdadi-before-attack.php