Questi ultimi giorni, prima di Pasqua, hanno risvegliato l’attenzione dell’opinione pubblica su un terrorismo che sembrava “più rilassato”. Ci hanno pensato le vicende francesi e poi le catene di arresti in Italia a ricordare a tutti la minaccia costante e rilevante del terrorismo.
Proviamo dunque a dare una griglia di lettura a quanto accade, soprattutto in riferimento al rischio che il nostro Paese corre.
Focalizziamoci sull’Italia.
I casi eclatanti sono tre.
A Torino viene arrestato Elmahdi Halili, 23 anni marocchino, ben conosciuto perché tra i primi traduttori della propaganda del Daesh, supporter della strategia del terrorismo diffuso promossa da Al Adnani. Era in libertà avendo patteggiato e accuratamente monitorato. Al suo arresto hanno fatto seguito le azioni di contrasto al terrorismo a Milano, Napoli, Modena, Bergamo, Reggio Emilia: la rete con la quale era in contatto.
A Foggia, viene arrestato Abdel Rahan Bdel Mohy Eldin Mostafa Omer, 58 anni italiano di origine egiziana, indottrinava i bambini al centro culturale al Dawa, dove teneva le sue lezioni. Costui era monitorato dal 2015 e sempre ad al Dawa operava Eli Bombataliev, ceceno arrestato per terrorismo nel 2017.
Nel napoletano e casertano, vengono arrestati quattro tunisini Akram Baazaoui, Mohamed Baazoui, Dhiaddine Baazaoui e Rabie Baazoui. Un quinto uomo palestinese è già in carcere. Si tratta della rete del terrorista di Anis Amri, autore dell’attacco a Berlino nel 2016. Ai quattro si contesta l’associazione per delinquere finalizzata alla falsificazione dei documenti e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
La rapida successione di queste significative azioni di contrasto al terrorismo occupa molto spazio sui media e agita i cittadini italiani.
Ma per certo si può fare una affermazione: quanto accade oggi si inserisce perfettamente nelle interpretazioni consolidate, da studiosi e operatori, delle nuove forme che il terrorismo islamista sta prendendo dall’agosto 2017: nulla di nuovo sotto il sole e tutto atteso.
Come le azioni di questi giorni dimostrano: tutte programmate, ma improvvisate da necessità reattive di emergenza.
Proviamo a dare una griglia di interpretativa per contestualizzare l’accaduto nel quadro più ampio della lotta al terrorismo e della concreta minaccia al nostro paese.
Consideriamo le modalità di azione (quando e come si è intervenuto):
- tutte le azioni condotte riguardano soggetti monitorati da tempo: il che conferma quanto gli investigatori fossero “sul pezzo” e come la decisione di procedere sia stata presa all’interno di un quadro investigativo complesso. Nessuna di questa azioni si è sviluppata nell’imminenza di un attacco ma, presumibilmente quando i soggetti monitorati avevano terminato la loro funzione informativa (monitorare permette di identificare la rete) e quando una “stagione sensibile”, come è ogni festa religiosa partecipata, si sta avvicinando;
- tutte le azioni si svolgono all’interno di contesti conosciuti e/o nei confronti di persone che hanno reiterato reati simili: la consuetudine, di luoghi e abitudini, ritorna con frequenza e aiuta a confinare il fenomeno nella giusta prospettiva di sua pervasiva diffusione ma di relativo contenimento in ambiti specifici, sia personali sia associativi.
Le preoccupazioni che emergono confermano le tendenze conosciute:
- La reticolarità diffusa del terrorismo islamista, presente anche nel nostro paese, che poggia su reti amicali, parentali e virtuali;
- il ruolo dei maestri o predicatori, soprattutto rivolto ai giovani, attraverso forme di educazione radicale;
- la presenza limitata ma significativa di convertiti italiani che assumono atteggiamenti radicali;
- il ruolo sdoganato della immigrazione clandestina, almeno come canale opportunistico che è possibile sfruttare da parte del terrorismo.
Queste riflessioni a quale valutazione conducono in merito al rischio per l’Italia? Proviamo a fare una valutazione considerando alcuni fattori:
- Daesh è morto come forma organizzativa conosciuta ma ha lasciato una eredità importante (anche operativa) che altri stanno raccogliendo;
- è probabile che Daesh avesse previsto questa mutazione, coincidente con la perdita dei territori e avesse cercato di governarla. Gli attacchi da agosto 2017 (Barcellona) e tutta la comunicazione da un anno a questa parte dimostrano come il Califfato si stesse attrezzando per sopravvivere non come organizzazione, ma come sistema terroristico diffuso;
- il risultato è stato lo sviluppo di una strategia senza strategia: il nuovo terrorismo è un sistema autopoietico che non ha bisogno di Daesh perché si perpetua in assenza di una catena di comando e controllo. Gli autori dei possibili attacchi sono pubblicamente informati degli obiettivi e pubblicamente formati per colpirli attraverso la viralità della comunicazione di Daesh e l’attivazione soprattutto attraverso reti personali tra attivisti;
- siamo nel contesto specifico di una attività stagionale che sempre coincide con le festività religiose e civili (Natale, Capodanno, Pasqua, etc.), caratterizzate dalla partecipazione massiccia della cittadinanza che offre il migliore soft target. La stagionalità indica la ripetitività consueta di questa minaccia in questi periodi senza una reale manifestazione di quanto minacciato. La stessa ricorsività riguarda la città di Roma come bersaglio, da sempre presente nella comunicazione del Daesh. Pertanto questa stagionalità contiene la valutazione del rischio se in assenza di altri indicatori specifici e circostanziati;
- il contesto internazionale, d’altro canto, è di progressiva instabilità su tutti fronti e si inserisce perfettamente nella logica della guerra ibrida in corso: gli scontri sul campo, quelli economici e politici si inseriscono nel ampio disegno in cui sono in corso di ridefinizione i sistemi di “amicizia” tra i diversi protagonisti del governo globale. Il terrorismo è a) un attore di per sé del conflitto ibrido; b) è un fantasma utilizzato da altri attori per minacciare trasversalmente “gli alleati”;
- le attività di contrasto di questi giorni, nel quadro della cosiddetta viralità dei comportamenti imitativi può innescare delle reazioni in attaccanti singoli, la cui prevedibilità dipende dalla loro pre-esistenza nelle reti del jihad e dalla velocità del processo di radicalizzazione.
In conclusione, le nostre considerazioni sottolineano ancora una volta il fenomeno del terrorismo come un fenomeno di lungo periodo, flessibile e multiforme, da inquadrarsi in un contesto geopolitico più ampio nei confronti della cui minaccia, tuttavia, disponiamo di una rete sul territorio di investigatori e operatori molto efficace.
Questo è positivo ma inevitabilmente insufficiente a ridurre la minaccia sotto una soglia di allerta elevata, che dovrà caratterizzare la consapevolezza dei nostri comportamenti nei prossimi giorni.
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