Nelle ultime settimane, il fenomeno delle baby gang in Italia è esploso sui media nazionali e locali, diventando una realtà critica e preoccupante per le conseguenze negative, che queste azioni dimostrano di avere nei contesti urbani dove si attivano.
La violenza e l’odio che lo promuovono sembrano essere diventati dei modelli di comportamento collettivo, che trovano una loro causa di esistenza in una molteplicità di fattori, alcuni dei quali oramai sono diventati parte di una narrativa che ne paralizza l’interpretazione, in quanto animata da criteri diventati superati e che non sembrano più avere un ruolo così determinante come in passato.
In particolare alcuni punti meritano particolare attenzione:
- il binomio periferia – centro città: gli ultimi avvenimenti e attacchi da parte di baby gang a Napoli, Torino, Milano dimostrano che non sembra esistere più una netta contrapposizione fra luoghi periferici e centro città. Per lo meno ciò può ancora esistere da una prospettiva meramente geografica, ma non secondo un approccio sociale: a Napoli per esempio un attacco è stato effettuato sul lungomare, quindi un luogo tradizionalmente di svago e in particolare turistico. La diffusività diventa quindi una caratteristica peculiare di questi atti, traslocando dinamiche di comportamento più tipiche di certe aree urbane in altri contesti e, cosa ancora più grave, trovando uno spazio proprio di legittimazione, in una narrazione corale che da racconto diventa retorica e quindi priva di adeguati strumenti per una possibile risposta proattiva. I confini quindi fra zone “bene” e zone “brutte” della città diventano più porosi e labili, permettendo l’esplosione di violenza in contesti centrali così come in posti della città dimenticati dai più. Questa modalità rientra in una differente concezione di appartenenza territoriale, che definisce territorio non più uno spazio fisico delimitato da difendere, quanto uno strumento mediante il quale si esprime una relazione di potere di un gruppo di individui su altri, senza che questi ultimi siano in una qualche relazione con la gang originaria. E’ utile ricordare che per lunghi decenni, le periferie sono state oggetto di studio soprattutto in connessione con le medesime linea di pianificazione urbana, che prima creavano delimitazioni socio – spaziali e poi studiavano i fenomeni da essi stessi creati. L’ultima tendenza -più recente in Italia meno in Francia per esempio con l’esplosione delle banlieue parigine nel 2005 – in linea con gli attentati terroristici di matrice islamica ha messo in evidenza un rinnovato interesse per i luoghi “altri”, che vengono ancora percepiti come marginali rispetto ad un contesto cittadino centralizzato. Supportare ancora questa visione porterò in futuro alla sottovalutazione dell’importanza strategica del tessuto urbano inteso nella sua totalità ed identificabile come scenario di minacce, fautrici di terrore e odio trascendendo nello specifico dalla matrice che le ha originate e pervadendo molti più ambiti della vita urbana stessa.
- il mito delle attività delle gang che hanno come destinatari privilegiati i ragazzi adolescenti più o meno della stessa età di chi appartiene alle gang: gli ultimi eventi infatti dimostrano che non è così. Sono infatti stati oggetto di azioni d’odio anche militari – e qui il parallelismo con quanto è avvenuto spesso in Francia ad opera di terroristi pone una questione aperta – senza fissa dimora o persone adulte.
- i fenomeni d’odio quali sono questi non devono essere confusi con i crimini d’odio, i quali rappresentato una specifica fattispecie di reato e cosa più importante, non annoverano fra le motivazioni molte di quelle emerse in queste ultime settimane. Ad oggi si può sostenere che le gang sono un prodotto di una grande commistione di vulnerabilità che fanno parte del contesto di nascita e sociale dei ragazzi devianti stessi, ma non solo: i genitori che sembrano avere incitato uno degli ultimi attacchi a Napoli dimostrano, che il fenomeno non è unicamente legato all’età di appartenenza o ad una fase di ribellione adolescenziale, ma che si sta strutturando in una componente della popolazione dalla quale può – o ha già- trovato un sostegno o un attivatore consenziente.
- l’importanza dei social media è un elemento da verificare e non dato per scontato, in un contesto dove la realtà materiale e la violenza fisica hanno di gran lunga superato il contesto virtuale e le sue possibili implicazioni.
Questi fattori portano ad una nuova e necessaria prospettiva di interpretazioni attraverso categorie di analisi diverse, scevra dei criteri discriminanti precedenti, ma aperta a nuove forme di odio urbano e alle sue manifestazioni.
Da qui emerge quindi un quadro di grande incertezza per il futuro di aree urbane sempre più ampie e dominate da molti conflitti sociali, che vanno via via intensificandosi ed esplicitando un odio relazionale che si sta sempre più incancrenendo in strutture sociali a rischio.
Il caso italiano presenta delle peculiarità in questo senso, in quanto a differenza di altre realtà europee e internazionali, la prima fase di concentrazione territoriale di questi fenomeni è saltata, a favore di una fase dove diluizione e pervasività degli eventi violenti sono il marchio che contraddistingue le azioni delle gang attuali.
Il sottodimensionamento di questo fenomeno o la sua interpretazione, attraverso lenti inadatte potrà portare ad una incomprensione circa i reali fattori di attivazioni della modalità gang e alla messa in pericolo di contesti urbani sempre più ampi e per i quali, la gestione di questi eventi diventerà cruciale per una auspicata convivenza civile.