Il collasso del sedicente Stato Islamico in Siraq ha rappresentato una importante vittoria per la coalizione anti-ISIS impegnata da oltre un anno contro l’organizzazione terroristica. Nonostante il tracollo territoriale è essenziale sottolineare come la minaccia jihadista nei confronti dell’Occidente e dell’Europa nello specifico non è da considerarsi in diminuzione. Come ogni fenomeno complesso l’organizzazione di Daesh ha raggiunto, a causa delle pressioni esterne al sistema, una biforcazione – un punto critico – a partire dal quale si è avviata una fase di rigenerazione. La fase di rigenerazione del sistema è costituita da una serie di irregolarità rispetto allo status quo precedente.
Una delle prime irregolarità la si riscontra nella poderosa macchina propagandistica del Califfato, la quale negli ultimi due mesi ha iniziato a operare al di fuori degli schemi entrando in uno stadio produttivo minimale, evidenziando così una perdita di forza nella capacità di monopolizzare il flusso informativo jihadista. Gli esempi in questa direzione sono molteplici: a partire dalla mancata diffusione del magazine Rumiyah alla diminuzione dei prodotti mediatici in generale e la mancata rivendicazione di attentati da parte dell’agenzia AMAQ. Il fenomeno dello sciacallaggio comunicativo che continua a vedere impegnati singoli attori, o gruppi, al di fuori delle case mediatiche ufficiali, nella produzione di materiale propagandistico jihadista, evidenzia di riflesso questi vuoti strutturali lasciati dal califfato. Ad esempio, su quest’ultimo aspetto si può fare riferimento alla recente propaganda firmata Dr. Almani mirata a promuovere attacchi durante il periodo natalizio.
Il video intitolato “Flames of the War II” diffuso il 29 novembre 2017 dalla casa mediatica di punta del califfato Al-Hayat Media Center riporta in maniera chiara una realtà che sta già prendendo forma: The Jihad enters a new phase.
Ma quale potrebbe essere questa nuova fase?
All’interno della fase attuale il califfato sta operando una riorganizzazione mediante l’adattamento costante e sperimentale al nuovo ambiente post-califfato 1.0.
Adottando un approccio “think terrorist” la ridefinizione del rapporto dell’organizzazione rispetto all’ambiente circostante potrebbe confluire in nuova forma ibrida di califfato. Quello che si potrebbe ipotizzare riguarda la creazione di un califfato virtuale con una struttura di comando e controllo flessibile collegata a network locali sul territorio.
Una sorta di cupola operante principalmente dalla rete, non radicata territorialmente all’interno di una roccaforte come nella versione del califfato 1.0 e con collegamenti fisici all’interno dei territori operativi. La frammentazione dell’HQ garantirebbe una maggior sopravvivenza al califfato 2.0 attraverso l’esistenza di micro-cellule di coordinamento (digital cells) e collegate a micro-cellule dormienti operative sul territorio. La creazione di network operativi sui territori europei e non, si accoppia con il fenomeno della ritirata caotica dal campo e del ritorno dei foreign fighters i quali fungerebbero da ponti di collegamento con il coordinamento in rete, il quale a sua volta potrebbe operare da territori dove il califfato presenta ancora capacità di manovra, da territori come la Libia, Sinai, Afghanistan, Sud est asiatico, oppure attraverso gruppi jihadisti gemellati con ISIS.
Rimane un dato che la rete diviene sempre più un campo di azione primario, infatti, potrebbe rappresentare un weak signal il fatto che proprio settimana scorsa il gruppo United Cyber Caliphate ha dichiarato di aver ripreso la digital war contro i kuffar dopo un periodo di silenzio.
In relazione alla minaccia terroristica il metodo del remote-controlled attack potrebbe rappresentare non più la necessità dettata dall’esigenza come in precedenza, ma una scelta di fondo del nuovo califfato. Oltre alla dinamicità del sistema Daesh, è importante considerare il suo adattamento in relazione all’evoluzione dell’ambiente esterno anch’esso in continuo mutamento. L’idea di un califfato virtuale si sposa con la visione a medio-lungo periodo di una crescita esponenziale della comunità islamica a livello mondiale e quindi di un incremento esponenziale di quelle generazioni di nativi digitali che vedono l’ambiente virtuale come una modalità di vissuto alla pari, se non superiore, a quella nella vita reale. Uno studio demografico del Pew Research Center ha evidenziato come entro il 2070 il 10% della popolazione Europea sarà musulmana. All’interno di questa stima si calcola che la donna musulmana ha non solo il numero di figli più alti – tre per donna – ma questi sono anche i più giovani rispetto alla media delle altre religioni.
Per quanto riguarda l’Italia sono stati stimati tassi di crescita più alti rispetto agli altri paesi, infatti nel 2030 la popolazione musulmana rappresenterà il 5,4 % della popolazione totale. Il terrorismo di Daesh è sempre stato in grado di sfruttare le opportunità riadattandosi in base all’ambiente circostante. Si è passati da un sistema di attacco altamente centralizzato dal punto di vista della gerarchia decisionale e infisso all’interno di un sistema reticolare – attacchi di Parigi e Bruxelles – per poi passare ad un sistema di coordinamento più lasso e parzialmente decentralizzato – remote-controlled attack – per poi giungere ad un sistema totalmente decentralizzato con gli attacchi ispirati. La propaganda jihadista delle ultime settimane mostra uno slittamento verso simboli e immagini tipiche dell’adolescenza e dei giovanissimi, con immagini che creano una fusione tra il concetto di jihad e immagini prese dall’intrattenimento videoludico o dal cinema action, unendo in questo modo il terrorismo a qualcosa di esaltante, quasi da fare solo per gioco, che potrebbe far presa su una determinata popolazione giovanile
Premonitore di questa dinamica è rappresentato dal recente arresto di Momo al-Italy adolescente italiano figlio di genitori marocchini il quale in contatto con membri del califfato stava pianificando un attentato terroristico attraverso l’ausilio di un aeromobile a pilotaggio remoto. Il nativo digitale che diviene un potenziale terrorista è portato ad utilizzare come arma tutto ciò che è alla sua portata.
Un loner operativo sul territorio, guidato da un referente del califfato attraverso il web (digital coordination cell). La nuova minaccia jihadista, a partire dall’esperienza fallimentare dal quale esce, potrebbe quindi fare del proprio mantra non più la nozione “Remain and Expanding” ma in maniera più fluida “Digitalize and Attacking“. La digitalizzazione potrebbe divenire un elemento importante per la sopravvivenza della jihad del califfato. Questa filosofia non ingloberebbe come stategia principale la definizione di un dominio territoriale, come nell’esperienza precedente dove il territorio definiva quasi l’identità dell’organizzazione, ma la continuazione di una jihad multi-polare e frammentata.
In tal senso è evidente la necessità di nuovi modelli interpretativi utili per far fronte ad un terrorismo che ha come principale caratteristica quella di essere polimorfo, con forti capacità di adattamento. La sfida che ci si pone è quella di comprendere il fenomeno attraverso chiavi di lettura che siano capaci di aprire ad una visione di insieme all’interno del sistema in cui è inserito, ovvero un sistema complesso cercando per quanto possibile di anticiparne le direzioni.
In conclusione, se da una parte le istituzioni devono rimanere vigili in modo tale da cogliere i segnali del mutamento in atto, dall’altra parte è fondamentale non sottostimare la minaccia del terrorismo della quotidianità solo perché divenuta silente.