Durante l’offensiva del 21 giugno per scacciare lo Stato Islamico da Mosul, le forze dalla Coalizione hanno filmato la distruzione della Grande Moschea di al-Nuri da parte dei terroristi. Quando le truppe governative si sono trovate a circa 50 metri dal monumento, i miliziani hanno fatto detonare le cariche esplosive riducendo il sito a un cumulo di macerie.
Fino a ieri le mappe operative mostravano una città quasi totalmente libera, salvo che per un’area di modesta estensione dove si era barricata l’ultima resistenza dello Stato Islamico. Ma al centro di questa sezione della città vecchia campeggiava un’immagine: il minareto pendente della Moschea di al-Nuri.
Anche la propaganda irachena, i media, i social network hanno diffuso per mesi l’immagine del minareto. Nell’immaginario collettivo la sua cattura era diventata il simbolo della fine di IS a Mosul, l’occasione di strappare la bandiera nera da uno degli ultimi e più famosi monumenti dell’Iraq era a portata di mano.
Ma la sua importanza non si limitava al valore storico e culturale. È qui infatti che nell’estate del 2014 al Baghdadi si è rivolto ai suoi adepti proclamando la nascita del Califfato ed esortando tutti i musulmani a combattere gli infedeli. È a questo punto che il sito è diventato un simbolo per entrambi i fronti: fondamentale riconquistarlo per l’Iraq, imperativo non lasciarlo catturare per IS.
La sua presa sarebbe quindi stata una vittoria morale e psicologica di grande impatto, soprattutto a pochi giorni dalla festa per la fine del Ramadan e dalle voci sulla morte di al-Baghdadi. Significato che non è sfuggito a entrambe le fazioni in lotta e che probabilmente è stato il motivo della sua distruzione da parte delle milizie del Califfato.
Le nuove immagini mostrano ora un cumulo di macerie, mentre si rincorrono accuse reciproche tra Amaq e i portavoce della Coalizione su chi lo abbia distrutto: l’importanza di questo simbolo è tale che persino le sue rovine costituiscono armi per colpire e screditare il nemico. D’altra parte la strategia di comunicazione del terrorismo islamico e in particolare di IS sfrutta da anni il patrimonio culturale come teatro privilegiato per la sua propaganda: lo dimostrano le immagini e i video ad Hatra, Nimrud, nella stessa Mosul e soprattutto a Palmira, con il suo teatro usato come “location” per le esecuzioni e i monumenti distrutti durante le due invasioni della città, senza contare le centinaia di siti devastati tra Siria e Iraq.
Il patrimonio di Mosul in particolare era già stato messo a ferro e fuoco durante l’occupazione dei terroristi: l’Università, trasformata in laboratorio chimico, è stata razziata dai miliziani così come la collezione di manoscritti antichi della biblioteca; il Museo, protagonista di interi video dell’IS, è ridotto a una pallida ombra del precedente splendore e le desolanti immagini dei saloni vuoti sono la prova della lucida strategia di IS in merito ai beni culturali – contrabbandare tutto il possibile, distruggere ciò che è invendibile. La biblica Ninive in questo senso ha subito il colpo più forte della sua storia.
Il minareto pendente di Mosul, descritto nelle memorie del grande viaggiatore Ibn Battuta, secondo la tradizione doveva la sua forma peculiare a un inchino fatto in omaggio all’ascensione del Profeta e la sua immagine era riprodotta persino sulle banconote irachene: ora si aggiunge alla lista delle vittime dello Stato Islamico, ultimo colpo di coda messo in atto per non lasciare alcuna spoglia al vincitore.
Secondo le parole del primo ministro iracheno Haider al-Abadi la sua caduta “segna la sconfitta di IS a Mosul”. Ma il Califfato è ancora lungi dall’essere spazzato via e altri monumenti rischiano di essere cancellati per colpire la cultura degli “infedeli” in tutto il mondo.