Esperienza di rischio e comportamenti protettivi – by Davide Scotti

Il periodo feriale 2016 si è purtroppo caratterizzato per i numerosi episodi di sangue che sembrano mettere a rischio la possibilità di rilassarsi. Gli attentati sono in luoghi diversi e particolarmente comuni nella vita di ciascuno con la conseguenza che qualsiasi contesto può essere rischioso e quindi aumentare lo stress personale. La continua sensazione di pericolo, sempre e ovunque, condiziona il modo di percepire la realtà per cui un evento apparentemente banale può essere avvertito come estremamente pericoloso. Molti sono i falsi allarmi dopo le calamità e gli attentati.

Allo stesso modo la memoria degli eventi appena trascorsi influenza l’interpretazione dell’attualità. Ad esempio, oggi un evento analogo a quello occorso all’aereo della Germanwings 9525 avvenuto il 24 marzo 2015 sarebbe immediatamente letto come attentato quando è invece stato la conseguenza di una personalità disturbata. In modo analogo a quanto avviene per le cronache dei suicidi (V.R. Ashton e S. Donnan, 1981), la grande visibilità mediatica e le dettagliate cronache degli agiti di sangue può infatti indurre comportamenti imitativi nelle persone più fragili che non sono quindi estremisti radicalizzati ma piuttosto degli individui che in breve tempo mutano la propria routine fino ad agire comportamenti coerenti con la realtà descritta in quel momento.

In tutti noi la continua esperienza di rischio può portare a forme di rassegnazione e passività che è importante contrastare riconoscendo che gli episodi di sangue non sono ovunque e che qualcosa può essere fatto da ciascuno per migliorare le proprie chance di sopravvivenza. Oggi, forse possono tornare in auge piccoli paesi di villeggiatura dove riconoscersi al sicuro e comprendere che bisogna porre attenzione solo in alcuni contesti aggregativi o metropolitani. La differenziazione degli scenari di rischio rappresenta infatti un passo essenziale per pensare ed agire dei comportamenti protettivi. In modo analogo a quanto avviene in ogni realtà di lavoro o scolastica, ciascuno migliora le chance di sopravvivenza ad un evento inaspettato non sperando che non si realizzi, ad esempio un incendio, ma immaginando cosa farebbe se capitasse. La pianificazione mentale di cosa si farebbe in un determinato scenario riduce il tempo necessario a decidere quale strada prendere o cosa fare (S. Bray, S. Shimojo, JP O’Doherty, 2007). Ad esempio se entrando in un locale si guardassero le uscite di emergenza o si andassero a visitare prima i luoghi di un grande evento, i tempi di reazione di fronte ad un imprevisto potrebbero ridursi sensibilmente facilitando anche la scelta delle azioni individuali più efficaci conseguenti alla propria condizione fisica e relazionale. Il “gioco del cosa farei se” immaginato da una madre di fronte ad un attentato sul lungo mare sarà certamente diverso da quello pensato da un giovane adulto ma l’esperienza di efficacia sulla realtà sarebbe comune ad entrambi. Riconoscere che alcuni luoghi sono più pericolosi di altri, oggi moltissimi ma comunque non tutti, aiuta la pianificazione delle buone pratiche da adottare in quegli ambienti. A loro volta la definizione delle personali strategie di gestione facilita quell’esperienza di efficacia sulla realtà indispensabile all’essere umano per vivere un ambiente che da sempre è e sarà imprevedibile per motivi legati all’uomo o alla natura. Attraverso il “gioco” quale esplorazione sicura di scenari improbabili ma possibili, ciascuno può riappropriarsi di un metodo per affrontare l’odierna esperienza di pericolo accompagnando anche i più piccoli a vivere questi giorni difficili in modo attivo e propositivo. Se ieri il genitore raccomandava al figlio di non dare retta agli sconosciuti oggi bisogna aggiungere che in caso ci si perda bisogna cercare aiuto in una famiglia o in un agente aspettando con loro. Tanto per l’adulto quanto per il bambino l’immaginare cosa fare permette di vivere l’incertezza per un possibile imprevisto in modo più sereno godendosi quindi maggiormente una vacanza che speriamo buona per tutti.

Riferimenti

V.R. Ashton, S. Donnan (1981), Suicide by burning as an epidemic phenomenon: an analysis of 82 deaths and inquests in England and Wales in 1978-1979, Psychological Medicine;

Bray, S. Shimojo, JP O’Doherty (2007), Direct instrumental conditioning of neuronal activity using functional magnetic resonance imaging-derived reward feedback, Journal Neuroscience;