Con l’arresto di Salah abbiamo avuto la conclusione simbolica dell’attacco di Parigi, garantendo alla giustizia il super latitante. Ma non possiamo dire nulla di più di questo. Che tuttavia basterà a soddisfare molti. Sul piano operativo e di contenimento della minaccia la conclusione di questi quattro mesi di caccia moltiplicano incertezze e timori. Ora comincia il bello.Nella lotta al terrorismo è centrale la comprensione del sistema di relazioni tra i diversi attori che pianificano ed eventualmente portano a termine gli attacchi: la relazione è comunicazione, dunque potenziale informazione perché denuncia l’organizzazione della struttura, il suo “flusso vitale”. Negli ultimi decenni la diffusione delle tecnologie, la digitalizzazione e la virtualizzazione del mondo, ha favorito la nascita di una dimensione parallela: quella online, che spesso si sovrappone a quella reale e che costituisce una delle novità della minaccia della guerra ibrida, diffusa, pervasiva e delocalizzata.
In particolare, il mondo online rappresenta il luogo privilegiato per l’attuarsi delle azioni di propaganda e reclutamento di Daesh. Operazioni di comunicazione che per la loro natura propagandistica, orientata a un target ampio, devono essere soprattutto “in chiaro”, disponibili a chiunque, ragion per cui i social media, di cui tanto si sente parlare, sono il driver migliore per raggiungere capillarmente i target designati.
La comunicazione social è una comunicazione per sua natura reticolare (in realtà lo è ogni forma di comunicazione, in quanto essa istituisce relazione!) perché organizza relazioni tra i nodi della rete, la quale assume caratteristiche sistemiche (si ricordi l’antico assunto: il sistema è più che la somma delle parti): in parole povere attraverso i social la rete acquisisce identità di gruppo e garantisce partecipazione al gruppo da parte dei nodi. Ciò significa che ogni nodo, in questa particolare configurazione sistemica, ha valore di per sé e per le sue relazioni. Pertanto, nelle strategie di lotta al fenomeno della diffusione di materiale propagandistico a fini reclutativi sono al vaglio strumenti dinamici di analisi delle reti in grado di identificare i punti “strutturalmente” deboli, ossia quelli che una volta colpiti porterebbero rendere la rete “pericolante” e quindi portare alla stessa implosione del sistema. Se da un punto di vista teorico, tale strategia potrebbe portare alla diminuzione della presenza di reti strutturate in grado di disseminare viralmente la narrativa jihadista, dal punto di vista pratico ogni tentativo che miri a cancellare queste reti si scontra con l’elevata resilienza delle stesse, dimostrata dalla velocità con cui, una volta chiuso un determinato account, un altro viene immediatamente aperto e in poche ora ricostruisce attorno a sé la medesima rete in cui era inserito precedentemente.
Ma il mondo virtuale – malgrado l’entusiasmo messo nel suo studio da troppi analisti – non esaurisce la complessità del mondo, che sempre più nelle generazioni digitali, proprio quelle giovani che maggiormente aderiscono a Daesh, si realizza con la compenetrazione del mondo reale con quello virtuale.
Il caso della cattura di Salah , per esempio, porta l’attenzione alla rilevanza del mondo offline, ossia a quella rete che ha permesso il coordinamento degli attacchi del 13 novembre scorso e che ha garantito alla persona, che fino a ieri era la più ricercata d’Europa, di rimanere quasi indisturbato a Molenbeek per quattro mesi, al riparo di una rete solidale, fondata su contiguità marginali piuttosto che ideologiche, su frequentazioni comuni e affetti ed emozioni condivise. La protezione di cui ha goduto Salah è molto simile ha quella che ha permesso decenni di latitanza a camorristi e mafiosi accolti nelle reti solidali delle cittadine italiane.
La strage di Parigi è emblematica per l’analisi, al centro del nostro lavoro, della nuova struttura reticolare del terrorismo. L’azione del novembre scorso ha da subito posto il problema a riguardo delle modalità di coordinamento degli “zombie”, uomini formati militarmente pronti ad agire, competenti, organizzati con reti “loose” in termini di comando e controllo. Infatti, tutti i componenti dei commando che hanno portato a termine gli attacchi ai bar e ristoranti, al Bataclan e allo Stade de France erano stati formati nel teatro siriano, nel quale alcuni di loro sono stati nel medesimo periodo, avendo la possibilità di rafforzare le proprie relazioni interpersonali sul campo, stringendo amicizia utile ad alimentare l’adesione alla causa, fusa nell’esperienza forte del “reducismo”. I rapporti personali sembrano quindi essere stati da un lato il catalizzatore delle azioni parigine e dall’altro l’aspetto che ha decretato la forza e allo stesso tempo la resilienza della rete di cui facevano parte.
Queste modalità organizzative chiedono di porre attenzione alla costituzione della catena di comando e controllo tra periferia (la rete di Salah) e il centro (una centrale operativa). Il nostro orientamento è quello di presupporre l’esistenza di un gruppo strategico centrale che ha assunto una visione strategica che 1) può contare su personale sufficientemente competente e relativamente diffuso nei paesi da colpire (30% dei foreign fighter sulla via del ritorno); 2) fornisce indirizzi generali (target pubblici, tattiche minimali,…) senza pianificare le singole operazioni; 3) è supportato da una forte condivisione della “mission”; 4) è in grado di leggere il contesto che definisce le condizioni di attivazione cinetica delle reti auto-organizzate sul piano operativo.
Quanto sopra è un aspetto, rilevante, delle questioni d’affrontare.
L’altro aspetto, ancor più rilevante soprattutto sui tempi lunghi che richiedono le azioni di contrasto, è sollecitato dalle difficoltà che le forze di polizia belghe hanno incontrato nel tentativo di scovare il fuggiasco, sebbene fossero sin da subito informate del fatto che si trovasse nel quartiere dove era cresciuto: tale difficoltà è stata in buona parte causata dalla diffusione e ampiezza di una seconda rete di relazioni, forse meno intime, ma che ugualmente hanno efficacemente coperto Salah per tutto questo tempo. Si tratta di una rete solidale che, seppur non direttamente legata a Daesh, ha però supportato la sua causa con il silenzio omertoso, fornendo un ambiente favorevole al rafforzamento di relazioni pericolose. E proprio la cattura di Salah ora è potenzialmente foriera di aspetti altamente interessanti circa la costituzione e il funzionamento di queste reti informali, caratterizzate dall’assenza di una presa di posizione chiara nei confronti del terrorismo (non solo islamista) e da un elevato grado di connivenza. In questo clima, e particolare contesto ben conosciuto dall’ipotizzato “centro” della catena di comando e controllo di cui alle righe precedenti, il passaggio dalla solidarietà passiva alla militanza attiva non è improbabile.
Un altro segno negli scenari che sempre dipingono il 2016 a rischio maggiore degli anni precedenti.