Valutare con precisione quali saranno le conseguenze dell’esecuzione del religioso musulmano shiita Nimr al-Nimr insieme ad altri 46 prigionieri da parte delle autorità saudite domenica scorsa è un esercizio estremamente complesso, specialmente nell‘imprevedibile contesto medio orientale.Una conclusione può però essere tratta: nonostante il processo di stabilizzazione del conflitto siriano abbia portato allo stesso tavolo diplomatico tutte le maggiori potenze regionali, il Medio Oriente è, e probabilmente rimarrà, instabile ancora per molto tempo.
Il contesto: le tensioni religiose fra le fazioni sunnite e shiite alimentate dalle recenti esecuzioni, oltre ad essere sfruttate sotto forma ideologica da entrambe le parti, si inseriscono nella cornice di una “guerra fredda” per la sopravvivenza individuale, la conservazione del regime e il controllo regionale, fenomeno che in quella parte del globo è perenne e in continuo mutamento. Oggi tale dinamica rimane la medesima ma il contesto è completamente cambiato: quella che, specialmente negli anni della più famosa Guerra Fredda americano-sovietica, era una realtà multipolare (più stabile in termini di bilanciamento delle forze in gioco) principalmente rappresentata da una moltitudine di poteri quali Egitto, Iran, Iraq e Arabia Saudita, oggi si è trasformata e concentrata in una pericolosa realtà bipolare nella quale Iran ed Arabia Saudita si contendono la leadership ideologica (ossia la conservazione del regime) e l’influenza regionale. L’Egitto è solo l’ombra del forte paese nazionalista e pan arabo guidato da G. Abdel Nasser negli anni 60′, l’Iraq che rappresentava, con Saddam, la forza Bahatista è oggi in pezzi e la Turchia rimane ambiguamente alla finestra.
Inoltre, il panorama internazionale aggiunge ulteriore instabilità. Solo per citare le “teste di serie”: gli USA, pur non volendo abbandonare gli interessi in Medio Oriente, perseguono una politica di graduale disimpegno per poter dedicare maggiore attenzione alla Cina ed al Sud-Est asiatico, mentre la Russia, pur mantenendo la priorità del progetto eurasiatico, dimostra la volontà di difendere i suoi interessi all’estero “con le unghie e con i denti” e di tornare a essere grande sul palcoscenico internazionale, mostrandosi come un’alternativa o politica o ”muscolare”, a seconda delle occasioni.
Aggiungo, gli attori Medio orientali sono sempre stati molto intelligenti nello sfruttare a proprio vantaggio gli interessi delle grandi potenze nella regione, accomodandoli o rigettandoli a seconda delle circostanze e delle mosse degli avversari. Per esempio, nonostante gli stretti rapporti con gli americani l’Arabia Saudita ha giustiziato, spregiudicatamente, 47 prigionieri (alcuni dei quali diplomaticamente molto importanti); l’Iran che promuove l’accordo sul nucleare, continua a sviluppare il suo sistema missilistico; nello Yemen, in cui entrambe le potenze orchestrano il conflitto, il già fragile cessate il fuoco è definitivamente crollato; e sia l’Iran che l’Arabia Saudita combattono Daesh, progettando però il proprio potere sulla permanenza o caduta di Assad, ognuno armando e finanziando i propri estremisti. Per queste ragioni la strategia di contrasto allo stato islamico basata sulla centralità dei partner locali e della loro rispettiva affidabilità, e il processo diplomatico di risoluzione del conflitto siriano risultano essere due scommesse rischiose.
Effetti: essi possono essere ipotizzati come segue:
- breve termine: la rottura dei rapporti diplomatici e commerciali fra Arabia Saudita e Iran, e la dura presa di posizione dei rispettivi alleati, probabilmente non sfoceranno in un conflitto aperto e diretto ma sicuramente manterranno alta la tensione, alimentando la generale instabilità;
- medio termine: alta tensione, instabilità e mancanza di consenso fra le parti potrebbero influire negativamente sul processo di pacificazione relativo al conflitto siriano, beneficiando le forze destabilizzanti che agiscono nella regione e favorendo in particolare la sopravvivenza dello stato islamico e il rinnovamento delle sue operazioni;
- lungo periodo: la continua instabilità generale potrebbe, oltre a scatenare un conflitto aperto fra le parti, permettere alle forze estremiste create, ossia le milizie sunnite e sciite, di trasformarsi in minacce ben più considerevoli. Mentre la consecutiva stagnante, se non degradante, situazione economica e umanitaria espanderà gli effetti della crisi regionale oltre i confini del Medio Oriente danneggiando le economie globali, una conseguenza che si è già anticipata causando recentemente grosse perdite nei mercati finanziari regionali e contribuendo al crollo delle quotazioni del petrolio sotto i 33 dollari al barile, per la prima volta dall’Aprile 2004. Inoltre, è prevedibile un incremento del flusso migratorio, un fenomeno che è comunque destinato a crescere indipendentemente.
L’auspicabile soluzione dovrebbe prendere le mosse dalla comprensione, per le diverse parti, che il reciproco beneficio viene dalla stabilità regionale e concentrarsi sugli interessi condivisi piuttosto che accentuare i punti di frizione. In un tale e ipotetico contesto cognitivo, un tavolo diplomatico come quello siriano potrebbe essere un punto di partenza positivo dal quale iniziare a lavorare e non una mera opportunità di controllo e reazione ai comportamenti dei commensali.