I leader dei due parlamenti rivali in Libia, Aguila Saleh della Camera dei Rappresentanti di Tobruq e Nuri Abu Sahmain del Congresso Nazionale Generale di Tripoli, si sono incontrati ieri ed hanno rigettato l’accordo delle Nazioni Unite relativo alla imposizione di un cessate il fuoco e alla formazione di un governo di unità nazionale libico, promosso con il recente incontro di Roma, che sarebbe dovuto essere firmato oggi e la cui firma è al momento rimandata a domani.I due leader libici rifiutano e definiscono l’accordo come imposto dalle potenze mondiali e dunque dall’esterno, richiedendo maggiore tempo per formulare una proposta che provenga dall’interno del paese.
In questo contesto, in Libia, il tempo è un bene scarso ed estremamente prezioso. Il più grande problema del paese nord africano è rappresentato dall’instabilità politica dilagante e più tempo passa senza una soluzione, più questa, appunto, dilaga. Tale instabilità si manifesta con la virtualmente totale mancanza di sicurezza: il paese è un arsenale, l’MI6 ha stimato, già nel 2013, la presenza di circa 1 mln di tonnellate di armi, per lo più leggere, in Libia; i suoi confini sono estremamente porosi e deregolamentati; e le due caratteristiche precedenti hanno favorito l’insediamento e favoriscono il mantenimento e sviluppo di criminalità organizzata e della minaccia terroristica sia di matrice qaedista che rappresentata da IS, che ad oggi conta fra 2000 e 3000 unità operative, un centro operativo a Sirte e un raggio di azione di circa 250km lungo la costa.
Le domande allora sorgono spontanee: chi sono i rappresentanti parlamentari libici incaricati di firmare l’accordo? Quali interessi rappresentano?
La delegazione partita dalla Libia sembra includere 15 rappresentanti appartenenti ai due parlamenti, quello internazionalmente riconosciuto di Tobruq e quello autoproclamato di Tripoli, ma è il termine “moderati”, utilizzato dai media per descriverli, che risveglia l’attenzione.
Raggiungere il consenso fra le parti libiche si è dimostrato estremamente difficile, molti tentativi sono già sfumati (e Bernardino Leon ne è testimone), e oltre alle differenti agende dei due parlamenti, sul campo vi sono attori militarmente e politicamente molto potenti. Gli interessi, spesso contrastanti, si moltiplicano, compresi quelli che mirano al proficuo mantenimento dell’instabilità .
Quindi, tali rappresentanti potrebbero essere parte di una strategia diplomatica, tutt’altro che nuova e precedentemente studiata dalle rispettive leaderships, atta a guadagnare sostanzialmente tempo: si dimostra internazionalmente la volontà di lavorare a un accordo, senza però concedere materialmente nulla alla controparte. Probabilmente, il raggiungimento di una firma così tempestiva non era stato previsto (contando che si è partiti da contatti informali), ma, in ogni caso, l’accordo è comunque rigettato e dunque bisognerà attendere le conseguenze.
Oppure, tali rappresentanti moderati potrebbero essere stati attentamente selezionati dalle potenze internazionali interessate, come la più accessibile chiave di volta alla firma, in tempi brevi, dell’accordo ONU.
Queste sono ovviamente solo ipotesi, ma la situazione rimane critica: una pronta ed efficace azione in Libia è necessaria e non solo all’interno della strategia di contrasto e, in ultima istanza, eliminazione di Daesh. Il paese nord africano è ricco di risorse e strategico sia per gli interessi occidentali che per quelli, diversi, dei paesi del Golfo o dell’Egitto (giusto per citarne alcuni) e la sua stabilizzazione risulterebbe cruciale per l’intero contesto regionale che è composto da una serie di scomodi vicini, come Algeria, Tunisia, Mali, Ciad, Niger e Nigeria.
Il Segretario di stato Kerry ha dichiarato, a seguito dei tavoli romani, che chi si opporrà all’accordo ne pagherà le conseguenze. I leader parlamentari potrebbero essere messi sotto sanzioni e l’accordo firmato ugualmente ma il punto cruciale sarà la sua reale implementazione sul terreno. I vari attori locali hanno già dichiarato l’opposizione verso la possibile presenza di forze di stabilizzazione straniere, in Libia la lealtà popolare e militare di cui godono alcuni comandanti delle milizie e personalità tribali influenti è fondamentale per la realizzazione di qualsiasi concordato.
Inoltre, anche se l’accordo ONU fosse appoggiato dai parlamenti e, almeno, da alcune autorità territoriali, il neonato governo di unità risultante sarebbe estremamente debole e necessiterebbe della presenza di forze internazionali per proteggerlo e stabilizzarlo. La NATO nelle scorse settimane ha palesato l’intenzione di partecipare alla ricostruzione libica, ma presentarsi sul territorio come completi outsiders rischia di rivelarsi un totale fallimento.