Il Cyber Warfare secondo IS – by Alessandro Burato

Messaggio ai cavalieri mediatici. È questo il titolo di una pubblicazione di Daesh, trascrizione di quanto ripreso in un video di 6 minuti  lanciato l’11 marzo 2015 durante il quale vengono intervistati 5 mujaheddin in merito alle battaglie che il sedicente stato islamico sta combattendo nel mondo virtuale.Il documento, ora tradotto in italiano, ribadisce il valore del Jihad della parola, una delle tre modalità di lotta previste, quella lotta che si compie senza armi se non gli strumenti mediatici e la carica ideologica.

Il testo, come dalle parole degli intervistati, esalta la figura delle sentinelle, i combattenti del web, i fratelli operanti nei media Jihadisti, che svolgono un lavoro costante per ricoprire “la crepa davvero enorme”, per “raffigurare il mondo nella sua realtà, e non come sono soliti fare i bugiardi”, delineando i contorni di quella che definiamo guerra ibrida. Le argomentazioni del documento non sono affatto nuove, e Cantlie ci ha abituati a vedere la pressante volontà di Daesh di ridipingere la realtà secondo come meglio si confà all’ideologia e agli scopi propagandistici, anche attraverso l’utilizzo strumentale delle opinioni e i commenti di esperti o cronisti occidentali. Questa strategia è stata anche recentemente utilizzata dallo stesso Cantlie nell’ultimo Dabiq ma qui serve come prova specifica della vittoria di Daesh sul fronte della guerra online.

Sui contenuti sono due gli aspetti significativi di questo documento. Innanzitutto, viene fortemente ripreso il tema dell’egira verso le terre di Daesh ma in termini diversi dal solito, in maniera del tutto opportunistica. Se prima si diceva che non è necessario andare in Siria per combattere ma che, coloro che non potevano affrontare il viaggio, dovevano portare il jihad nel loro Paese,  parlando di web a coloro che lo sfruttano per l’”e-jihad”, il suggerimento cambia, non più atti reali ma l’incoraggiamento a buttarsi sulla frontiera digitale, diffondendo la propaganda attraverso media e social media.

Siete in tutto pari ai combattenti del Jihad, continuano a ribadire gli intervistati, nel tentativo di dare valore al lavoro delle sentinelle salvo poi, in conclusione smentire la certezza che possano a tutti gli effetti ritenersi combattenti per la causa: “[…]sarà comunque Allah a dire se anche loro potranno essere annoverati tra i mujahidin…”. Quindi, combattenti sin quando è necessario avere dita svelte sulle tastiere per diffondere la loro propaganda, ma forse non veri e proprio mujahidin quando si tratta di entrare nella Jannah? Lo spunto è sicuramente interessante per capire la consapevolezza del proprio ruolo dalla mano d’opera della propaganda, forse più sfruttata che adoperata.

Dal punto di vista dello stile, il documento in italiano, diffuso insieme alle versioni in francese e in bosniaco, è tradotto molto meglio di altri che circolano in rete. L’analisi linguistica pare rilevare un’ottima padronanza della lingua che viene ben utilizzata in modo da rendere la trascrizione non una semplice traduzione, ma l’effettiva trasposizione di un’intervista rilasciata in italiano, resa ancora più efficace dall’utilizzo di parole tipiche del linguaggio parlato. Forse questo ultimo aspetto sottolinea un interesse crescente di Daesh verso l’Italia? E contiguità già meglio sviluppate di quanto si sia finora pensato?

Certo è che il concetto di guerra ibrida sviluppato dalla Nato è molto ben compre, nelle sue potenzialità, nelle strategie del Califfato.

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