Arrestato ieri a Mantova Muhammad Bilal. La sua storia non è particolarmente complessa: il 5 gennaio 2014 sbarca in Sicilia da un barcone fingendosi uno dei disperati che cercano protezione internazionale e invece è un vero e proprio terrorista, addestrato in patria (Pakistan) alla lotta. Non è uno però che cerca molto di rimanere sotto traccia: nel centro di accoglienza di Piazza Armerina che lo ospita diventa presto uno dei più facinorosi ponendosi a capo di mini-rivolte che a volte richiedono l’intervento delle Forze dell’Ordine e, dopo il rifiuto della Commissione immigrazione della Prefettura di Enna della richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato politico del 17 agosto scorso, fa ricorso alla commissione distrettuale di Caltanissetta. Inchiodato da profili web e pagine internet che inneggiavano al terrorismo, il componente dell’organizzazione terroristica sunnita Sipah e Sahaba Pakistan, è stato arresto con l’accusa di istigazione a delinquere e apologia del terrorismo.
Ancora una volta si dimostra (se ancora fosse necessario farlo) quanto i social media siano connaturati alle modalità di diffusione della comunicazione del terrore e quanto il monitoraggio costante delle attività che si svolgono su questi strumenti sia necessario al fine di risalire a quegli “influencer” che cercano e fanno proseliti o costituiscono quel substrato connivente alla veicolazione del messaggio del Jihad. Una volta scovati questi nodi “vip”della rete, che spesso sono quelli a cui vengono oscurati i profili o che finiscono in manette, resta però la galassia (più o meno ampia) dei nodi “meno vip”, che vanno interpretati e sui quali è parimenti necessario intervenire.
L’aspetto che definisce lo status di “nodo meno vip” è innanzitutto la condivisione della rete: rientrano infatti in questa categoria tutti coloro che hanno un qualsiasi tipo di legame con l’influencer. È proprio però da questa generalità della condizione che definisce l’appartenenza alla rete che nascono le riflessioni circa il grado di prossimità degli uni rispetto all’individuo di maggior rilievo. Qual è la differenza tra mettere un “mi piace” su Facebook o condividere il post di un profilo? Mettere “mi piace” è più o meno forte di postare un commento?
La sociologia digitale fornisce alcuni strumenti per dirimere le principali questioni relative ai diversi gradi di interazione di un profilo con gli altri che popolano la stessa rete. Gli strumenti che rendono possibili questa interazione nel mondo online sono molteplici: Like, Condivisioni, Retweet, Preferiti, ecc. In particolare, uno degli strumenti più significativo per la Social Media Intelligence è rappresentato proprio dalla condivisione (Facebook) o dal Retweet (Twitter). Intenzioni come quelle di seguito riportante sono solo alcune di quelle che possono portare un soggetto a premere questi bottoni:
- di amplificare o diffondere il messaggio al pubblico,
- intrattenere o informare un pubblico specifico,
- commentare un tweet ri-postandolo e aggiungendo nuovi contenuti,
- dimostrare la propria presenza come un ascoltatore,
- dimostrare pubblicamente il proprio consenso,
- convalidare il pensiero altrui,
- dimostrare amicizia e/o fedeltà richiamando l’attenzione, spesso anche chiedendo di ri-postare,
- conferire maggior visibilità o persone o contenuti poco visibili,
- aumentare il proprio numero di contatti da un utente più visibile.
Dal punto di vista dell’interesse per il processo di intelligence altrettanto interessante risulta essere la dimostrazione di amicizia e/o fedeltà. Utenti che vogliono che altri utenti prendano coscienza del fatto che sono influenzati da loro, che li stimano e che condividono ciò che loro condividono, spesso ri-postano questi contenuti per dimostrare tutto ciò in maniera indiretta. Questo rapporto, che non prevede un contatto diretto, incoraggia gli utenti ad utilizzare gli strumenti della condivisione o del retweet scevri dal sentimento sociale dell’imbarazzo: la condivisione infatti rappresenta una opzione a basso-rischio per interagire con un altro utente, con il quale probabilmente altro tipo di interazione sarebbe stato impossibile.
Tuttavia, una delle tematiche più dibattute è proprio il legame che esiste tra la condivisione del post e del suo contenuto. Tale aspetto viene sottolineato dal fatto che spesso è abitudine dichiarare apertamente nel proprio profilo farsi del tipo “retweet ≠ endorsement”. Ad ogni modo, il solo fatto che alcuni utenti sentano la necessità di precisare questo aspetto mette in evidenza come da molti altri ri-postare contenuti di altri si precisamente finalizzato a dimostrare la propria personale condivisione dei contenuti del messaggio.
Una volta appurato il grado di prossimità dei questi “nodi meno vip” cosa fare? Certamente, come riportato oggi dalla stampa, le indagini delle Forze dell’Ordine si devono allargare al monitoraggio di questi soggetti, magari assegnandogli un particolare grado di priorità. Tuttavia, uno sguardo seppur competente ma passivo, non riduce il rischio che l’eventuale processo di radicalizzazione di questi individui possa essere gestito, rallentato, o addirittura interrotto. È infatti necessario prevedere, nei confronti di coloro che costituiscono la rete dell’influencer, la predisposizione di due dispositivi, diversi ma complementari, che possano contribuire ad arginare la diffusione della cultura del Jihad: le contro narrative e i programmi di deradicalizzazione. Entrambi gli strumenti sono altamente complessi sia dal punto di vista della predisposizione sia dell’attuazione: quali tematiche scegliere per una contro comunicazione efficace? Come misurarne l’efficacia? Chi comunica? Come intercettare e coinvolgere coloro che stanno vivendo il processo di radicalizzazione? Su quali leve agire per arginarlo? Quali i tempi per vederne i risultati?
Tutte queste domande necessitano di una risposta, che non è assolutamente facile né definitiva: sul tema il panorama internazionale di accademici ed esperti di intelligence si confronta costantemente mettendo in campo e condividendo esperienze e competenze per identificare i caratteri generali e guida per l’inserimento e l’implementazione di questi strumenti, unici in grado di agire sul substrato di quella rete nella quale Bilal si muoveva e sulle altre come quella che condividono la finalità di perorare la causa del Jihad.