L’operazione denominata “Martese”, scattata all’alba di mercoledì 1 luglio, ha portato all’arresto di cinque persone tra Italia e Albania, mentre altre cinque sono latitanti. Due i nuclei familiari coinvolti tra cui i Sergio, italiani convertiti all’Islam.
Gli arrestati italiani sono: Sergio Sergio, la moglie Maria Assunta Buonfiglio e la figlia maggiore Marianna Sergio, prelevati a Inzago, in provincia di Milano.
La figlia minore, Maria Giulia “Fatima Az-Zahra” Sergio è invece ricercata e si trova attualmente in Siria, nei pressi di Raqqa, dove si è recata nel 2014 assieme al marito albanese Aldo Kobuzi.
Gli arrestati albanesi sono: Coku Baki, zio di Aldo Kobuzi, prelevato a Lushnje (Albania) ma residente a Scansano, in provincia di Grosseto e Kacabuni Arta “Anita”, sorella di Coku Baki, arrestata a Scansano.
Sono invece ricercati Aldo Kobuzi (marito di Maria Giulia Sergio), la sorella Serjola e la madre Donika, tutti attualmente in Siria e membri dello Stato Islamico.
Esterna ai nuclei familiari ma anche lei ricercata è Bushra Haik, cittadina canadese di origini siriane, nata e cresciuta a Bologna e molto nota all’interno del contesto islamico nel centro-nord Italia. Nel 2012 Bushra si trasferisce in Arabia Saudita, a Riyadh, dove è tutt’ora residente e si dedica all’insegnamento del Corano e della dottrina islamica attraverso utilizzo di Skype e con centinaia di “allievi” al seguito. Secondo gli inquirenti è lei che ha svolto un ruolo fondamentale nella radicalizzazione di Maria Giulia Sergio. Oltre al gruppo “aqidah e tafsir”, la Haik gestiva anche dei gruppi per l’apprendimento della lingua araba e la memorizzazione del Corano.
Un chiaro legame con il contesto saudita che potrebbe non essere casuale. Fonti albanesi hanno infatti reso noto che diversi loro cittadini si sono radicalizzati proprio in Arabia Saudita, presso l’Università Islamica di Medina. Tra di loro c’è anche Mariglen Dervishllari, ex marito di Serjola Kobuzi, morto in battaglia mentre combatteva nelle file dello Stato Islamico. Devishllari compare infatti nelle liste online delle ammissioni ai corsi per l’anno accademico 2010-2011. [1]
I Sergio rappresentano il primo caso italiano di un intero nucleo familiare convertito, radicalizzatosi in breve tempo e pronto a partire per raggiungere lo Stato Islamico. Risulta inoltre chiaro il ruolo esercitato dalla figlia minore, Maria Giulia, che ha sistematicamente pressato i propri familiari, facendo leva su argomentazioni di matrice dottrinaria, per convincerli a intraprendere il viaggio, fatto documentato dalle intercettazioni.
Approfondimenti su cui riflettere
Se i Sergio rappresentano un caso senza precedenti, il discorso cambia per quanto riguarda gli albanesi. Nel paese balcanico è infatti piuttosto comune che intere famiglie, quasi sempre in precarie condizioni socio-economiche, si radicalizzano. Nelle aree più povere come la periferia di Tirana, le cittadine di Elbasan, Cerrik, Librazhd, Kavaja, i reclutatori del terrore trovano terreno fertile, spesso anche grazie ad aiuti finanziari che alcune moschee wahhabite ricevono da generosi donatori del Golfo e che permettono di fornire un piccolo stipendio a chi decide di frequentare i centri islamici radicali e di assumere uno stile di vita wahhabita.
Il contesto italiano è certamente differente da quello albanese, ma è essenziale tener presente che il processo di reclutamento non si fonda sulla casualità ma piuttosto su una ricerca di profili adeguati, sensibili alla propaganda estremista.
Lo spiega bene l’analista russo Alexei Grishin, esperto di radicalizzazione nella Federazione Russa, secondo cui i reclutatori e i propagandisti possono usufruire dell’aiuto di “spotters”, osservatori che hanno il compito di individuare soggetti potenzialmente sensibili alla propaganda e di raccogliere elementi su di loro, per poi attuare il cosidetto “approccio individuale”.
Con tale termine si fa riferimento a quel processo che prevede una previa raccolta di informazioni su profili psicologici, condizioni socio-economiche, età, sesso, punti deboli, per poi individuare i “fattori leva” che permettono di far breccia nella psiche del soggetto e di indottrinarlo per poi passare alla fase di reclutamento.
Un caso evidente è quello di Dmitry Sokolov, cittadino russo, indottrinato e reclutato dalla daghestana Naida Asiyalova all’Università di Mosca e convinto a unirsi ai terroristi dell’Emirato del Caucaso. La Asiyalova si è fatta saltare in aria su un bus di studenti a Volgograd nell’ottobre del 2013, mentre Sokolov è stato eliminato dalle forze di sicurezza dell’FSB un mese più tardi, nei pressi di Makhachkala, in Daghestan.
Le riflessioni di Grishin possono essere utili anche in contesto italiano e nello specifico nel caso dei Sergio e dell’attività di Bushra Haik. Sono attivi degli “spotter” all’interno della vasta comunità islamica italiana e sul web? E’ plausibile crederlo. In caso di risposta affermativa, quanti ce ne sono? Con quali modalità identificano i soggetti sensibili? Quali erano gli eventuali contatti della Haik in Italia? In che modo le sue lezioni venivano rese note agli interessati? Quanti altri “studenti” è riuscita a radicalizzare?
Tutti fattori che vanno approfonditi.