Le notizie frammentarie confermano che il Museo del Bardo è stato un obiettivo di “risulta” rispetto al Parlamento tunisino, accanto al Museo, in cui si discuteva la legge contro il terrorismo.
Una legge assai dibattuta perché accusata da diversi esponenti di essere “troppo” dura e “anti costituzionale”: il dibattito stesso lascia trasparire la questione spinosa del terrorismo in Tunisia, per il tema stesso e per i limiti con cui si è in alcuni casi espressa la democrazia tunisina.
Lo Stato Islamico si è attribuito la paternità, secondo i media tunisini, per rispondere ad alcuni interventi dell’antiterrorismo locale.
Quello che è certo è che le previsioni avanzate sui rischi nel Mediterraneo (The Ring of Fire) sono confermate: la permeabilità dei confini Nord Africani e la debolezza degli stati facilitano l’espansione verso ovest di IS, espansione chiaramente nei piani del califfato a cui ha chiamato i suoi accoliti.
L’azione condotta da pochissimi uomini con uniforme militare e armati di Ak47 mostra un piano militare semplice ma senza attentatori suicidi: ricordando l’elevato tasso di foreign figthers tunisini (22 ogni 100.000 abitanti, il più alto del Nord Africa) combattenti per IS, la pista dei combattenti di ritorno è, per ora, plausibile.
L’attacco al Museo del Bardo ricorda quello contro i turisti a Luxor condotto da militanti del Gruppo Islamico e dalla Jihād Ṭalīʿat al-Fatḥ e provocò il massacro di 62 persone (17 novembre 1997): in questo contesto di sviluppo dell’azione di IS la normale quotidianità è messa sotto tiro e l’incertezza è dirompente.