Oggi, Mercoledì 8 ottobre si riunisce il comitato per la sicurezza sanitaria europea per discutere dell’emergenza Ebola, intanto l’infermiera contagiata in Spagna è in isolamento con febbre alta all’ospedale Carlo III-La Paz di Madrid e insieme a lei ora si aggiungono altre persone sotto osservazione. La donna quarataquattrenne si era presa cura dei due missionari spagnoli rimpatriati dopo aver contratto il virus nelle regioni africane colpite dalla pandemia. La gravità di questo caso rischia di essere sottovalutata, distorta o strumentalizzata per fini diversi da quello impellente di migliorare la riposta ad un’emergenze che si avvicina sempre più al nostro “backyard” (giardino).
L’Unione Europea richiede spiegazioni su come sia avvenuto il fatto. E devono arrivare quanto prima per evitare allarmismi che già sulla rete circolano [1],[2]. Fortunatamente l’UE non è l’unica a farlo, ma la precedono in primis gli abitanti di Madrid che vogliono capire come sia stato possibile in un Paese dove le strutture sanitarie e i protocolli di gestione per casi simili sono decisamente migliori rispetto a quelli delle zone dell’Africa Occidentale devastate da Ebola. La risposta del ministro della sanità Fernando Simon che garantisce la revisione dell’evento per valutare eventuali errori umani o tecnici apre due fronti di analisi.
Dapprima il fronte tecnico. Alcuni dei dipendenti dell’ospedale madrileno avrebbero dichiarato al El Pais che la dotazione di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) non era adatta (in particolare le tute utilizzate dal personale medico non sarebbero in linea con il livello 4 di sicurezza biologica) e altre accuse arrivano direttamente al Ministero della Salute Ana Mato per la gestione del rimpatrio e dell’assistenza dei missionari.
Come siamo messi in Italia: un manuale dal titolo “Febbri Emorragiche Virali (FEV) Raccomandazioni e indicazioni per il trasporto”, pubblicato dal Ministero della Salute e del Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie nel 2006 insieme al Decreto interministeriale del 23 novembre 2010 elencano le procedure da adottare in termini di trasporto e di assistenza per casi sospetti/probabili di Ebola. In particolare il primo documento definisce in maniera dettagliata le caratteristiche dell’area di degenza, le dotazioni e i comportamenti del personale addetto alla cura di tali casi.
L’apparato di governance dell’emergenza è quindi predisposto e nel dettaglio si costituisce attraverso le seguenti normative:
- Circ. Min. Sanità prot. n. 400.2/113/2/74/2808 del 11/05/1995 “Febbri emorragiche virali( Ebola,Marburg, Lassa). Linee guida per la prevenzione ed il controllo”
- Circ. Min. Sanità prot. n. 100/673/01/4266 del 26/05/1995 “Aggiornamento linee guida per lagestione dei soggetti con sospetta febbre emorragica da virus Ebola”
- Circ. Min. Salute prot. n. 24349 del 16/10/2006 “Febbri emorragiche virali. Raccomandazioni ed indicazioni per il trasporto.”
- Circolare del Ministero Salute “Misure di profilassi per esigenze di sanità pubblica (1998)
- Decreto interministeriale 23.11.2010 Procedura nazionale relativa al trasporto di paziente in alto Biocontenimento
Arriviamo quindi all’errore umano. Il caso spagnolo potrebbe rivelarsi essere un esempio da manuale: il Professor Peter Piot, esperto di Ebola, ora adviser dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’emergenza in corso, fa notare come anche il semplice sfregarsi gli occhi del personale a contatto con un paziente contagiato dal virus può essere rischioso e prende ad esempio come situazione potenzialmente a rischio il momento in cui, uscendo dall’unità di isolamento, infermieri e medici si levano i guanti protettivi [3]. Anche il minimo errore, distrazione o ripetitività poco vigilata di azioni o procedimenti apparentemente innocui potrebbero essere fatali.
E qui allora entrano in gioco gli aspetti di sensibilizzazione e formazione del personale.
Si scopre che già in Agosto un infermiere anonimamente aveva postato sul blog di “Madrid Association of Independent Nursing” un commento alla scarsa formazione che gli infermieri avevano ricevuto sui protocolli di intervento in caso fossero stati chiamati ad occuparsi di un caso di Ebola. In Italia alcune esercitazioni interessanti sono state fatte, come ad esempio l’Operazione Matilde (13 settembre 2012) e quella organizzata dalla protezione civile a Pistoia il 10 maggio 2012 relative al trasporto di pazienti in alto biocontenimento.
Ma ora, con il virus trasmesso per la prima volta in territorio europeo, a poco più di 1000 km da noi, cosa si sta facendo? Quali misure si stanno prendendo per garantire la massima consapevolezza possibile del rischio anche tra il personale medico e infermieristico degli ospedali italiani?
Ancora fuori pista la riposta del ministro Lorenzin che incalza il dibattito dichiarando che i tagli al servizio sanitario nazionale mettono a rischio i “controlli per la sicurezza” e che nella gestione dell’epidemia è necessario intervenire quanto prima sulle capacità di “evacuare i cooperatori infetti” data la scarsa dotazione dei paesi europei di aerei attrezzati a tale scopo. Ma come? Ragioniamo sul fatto che la Spagna è riuscita a far tornare in Patria i suoi missionari. Quello che la Spagna forse non è stata in grado di fare è di evitare che errori, con alta probabilità umani, vanificassero le misure di isolamento del virus.
[1] http://www.corriere.it/salute/14_ottobre_07/ebola-non-contagia-via-aerea-difesa-diagnosi-precoci-460aeec4-4deb-11e4-b38c-5070a4632162.shtml
[2] http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/ebola/11138918/Weve-made-the-Ebola-crisis-worse.html
[3] http://www.bbc.com/news/world-europe-29531671