E’ di oggi la notizia con la quale WikiLeaks annuncia: “Avevamo dato l’allarme da tempo con tremila documenti diffusi” e prosegue nella sua (di WikiLeaks) propaganda mediatica con un video di promozione delle proprie capacità anticipatorie.
Andate pure ad esplorare per rendervi conto che non c’è alcuna capacità di anticipazione nei documenti distribuiti se non il racconto di una storia come si è sviluppata dalla fondazione di Zarkawi agli avvenimenti successivi. Si tratta di una storia conosciuta che, rivista nei documenti, conferma quanto già si afferma: una sottostima della pericolosità e della determinazione di ISIS/IS nel conseguire i risultati proposti già da Zawahiri nel 2006. Ma qui entriamo nella incertezza delle analisi e delle valutazioni che potrebbero essere colpevoli per eventuali scelte politiche e, certamente, sono state inficiate dalla complessità della galassia di organizzazioni terroristiche jihadiste tra le quali… scegliere il male peggiore.
Che si potesse fare meglio è noto.
Non voglio discutere questo: lo si è già fatto in diverse sedi.
Quanto discuto è il clamore sul tema suscitato da WikiLeaks, che evidenzia un atteggiamento poco consono a un sistema mediatico responsabile, al quale si appella (ma in termini di irresponsabilità) proprio WikiLeaks, accusando i media di scarsa attenzione al fenomeno IS, da loro invece denunciato da tempo. Quando, al contrario, diversi media già esplorarono e utilizzarono documenti di WikiLeaks per i loro comunicati e approfondimenti in questi anni.
Dunque quella di oggi è un’operazione puramente mediatica, di sfruttamento del brand IS da parte di WikiLeaks per cercare un proprio rilancio in una sua fase di “stanca”.
E questo apre un nuovo capitolo della saga comunicativa di IS che si propone quale traino, per la notiziabilità che offre di eventi e documenti e, ora, per il brand di successo che può essere di traino per altri.
Un atteggiamento diverso da quello che comincia prendere piede tra i media britannici quando, a seguito dell’omicidio di Cantlie, Joan Smith, direttore di Hacked Off, argomenta che il dovere di informare non dove confondersi con la collusione e il compiacimento e che “abbiamo la responsabilità come giornalisti di riferire di questi omicidi, ma non siamo costretti a riprodurre pedissequamente la più orribile propaganda”. In ciò trova il consenso di Daily, Sunday Mirror e Indipendent. Forse finalmente qualcosa si muove nel circo mediatico. Ma certamente non con il contributo opportunistico di WikiLeaks.