E’ il primo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle. Che cosa possiamo aspettarci? Questa domanda ritorna quale tormentone del settembre post vacanziero, sostituendosi ai refrain dei motivi estivi. Sicuramente si assisterà a una recrudescenza di speciali televisivi che faranno rivivere le immagini della tragedia; si diffonderà a dismisura la sondaggistica della paura e dell’attesa di quello che potrebbe essere ancora; si ripercorreranno le strade intraprese dopo il September Eleven nella guerra al terrorismo; si cercheranno le responsabilità di ciò che è stato, di ciò che sarà, di ciò che sarebbe potuto essere se le cose fossero andate diversamente.
D’altra parte – come già scrissi su queste pagine immediatamente dopo l’11 settembre– se l’attacco al WTO è stato un grandissimo evento comunicativo, curato da un fortunato abilissimo registra assassino, non ci si può aspettare che il Primo Anniversario possa essere qualcosa di diverso, in termini comunicativi. O addirittura qualcosa di più, se il piano della comunicazione viene interpretato come quello in cui misurarci con Osama. Le celebrazioni dell’Anniversario, inoltre, sono attese: la tensione attorno all’evento cresce, perché si teme che il ricordo mediatico possa essere riattualizzato da qualche nuovo attacco terroristico predisposto per l’11 settembre. E’ possibile che imitatori meno capaci ma altrettanto pericolosi vogliano inserirsi nel corso della storia, al traino del primo autore. In questi giorni, infatti, sono aumentate sia le segnalazioni di possibili attacchi attorno a obiettivi sensibili sia le azioni di contrasto, e il clima si sta scaldando. I segnali della replica, d’altra parte si moltiplicano attraverso il villaggio globale, forse anche inaspettatamente. Per esempio: il 9 settembre scorso l’Afghanistan era stato scosso dall’attentato a Ahmed Shah Massud, comandante delle forze armate della Northern Alliance. E’ di queste ore il fallito attentato al Presidente afghano, alla nuova leaderhsip del Paese. Certo le coincidenze del caso sono rafforzate dalla predisposizione degli osservatori che sembrano sempre più orientati a profezie che si auto-avverano. Ma il maggior rischio di destabilizzazione e di crisi potrebbe venire, come spesso accade dopo ogni performance, dalla distribuzione di una fotografia di Osama Bin Laden con in mano una copia di USA Today del giorno 11 settembre 2002, autografata. Come ho detto, il clima è teso: September Eleven ha lasciato il segno in un’America che fino ad allora – come ebbe a dire due giorni prima del Giorno il vice direttore di un’importante agenzia per la sicurezza degli Stati Uniti – non era sensibile alle vicende del terrorismo perché non ancora toccata sul suo territorio. Ora il 72% degli abitanti di New York teme un nuovo attentato, nello specifico ha soprattutto paura di nuovi kamikaze la cui efficacia è riconosciuta e la cui prevenzione non può che essere affidata alle strutture di intelligence, nei confronti delle quali ancora non si sono dissipate le ombre sulla loro effettiva capacità di intervento. Questa paura non si dissiperà facilmente dopo questo Primo Anniversario, qualunque cosa capiti o non capiti, perché la partita è ancora in corso e, probabilmente, non è neppure a metà, e se non è incerta negli esiti sicuramente lo è per le strategie che governeranno le prossime mosse. Dunque l’incertezza si diffonde, testimoniando l’efficacia degli strumenti comunicativi del terrorismo, per il fatto che “ciò che sarà il Primo Anniversario” avrà degli effetti sulla qualità dei legami che caratterizzano l’alleanza che combatte la guerra al terrore. Se come tutti si augurano assisteremo solo a un composto revival mediatico, quanti diranno che Osama è sconfitto, che la risposta è stata adeguata, che si può tirare il fiato? Se si rinnovasse di fatto il dolore dello sterminio delle bombe assassine, quanti proporrebbero una Madre della Battaglie a ranghi serrati contro i fantasmi del nemico? Anche per questo, dunque, l’attesa è grande perché solo il “dopo” permetterà di ridefinire alcuni equilibri da cui dipendono possibili interventi in alcune aree del mondo, quali l’Asia Centrale. Ma anche per questo il “dopo” è rischioso, perché potrebbe indurre a governare utilizzando politiche re-attive piuttosto che pro-attive. Dopo l’11 del 2001 si disse “il mondo è cambiato”. All’11 del 2002 si può dire che allora il mondo ha avviato il cambiamento e che quella di quest’anno è una tappa del processo, del quale non sono ancora né stabilizzate né condivise le regole di governo. E’ per questa ragione che, questo Primo Anniversario ha la debolezza di non essere ancora una celebrazione delle vittime ma un rituale per i sopravvissuti.
Marco Lombardi