Dopo due giorni di fuga, Cherif Chekatt è stato neutralizzato dalla polizia francese tra il quartiere di Neudorf e quello di Meinau intorno alle ore 21.
Secondo fonti ufficiali l’uomo si sarebbe scontrato con degli agenti di pattuglia, cadendo vittima del quarto scontro a fuoco con le forze di sicurezza. A poco più di un’ora dalla diffusione della notizia il gruppo Stato Islamico (IS) ha pubblicato una rivendicazione tramite l’agenzia Amaq, sostenendo come Chekatt fosse un “soldato” che ha agito “rispondendo all’appello” a colpire i cittadini della coalizione. Versione che in effetti combacia con l’invito sempre più pressante e articolato da parte del gruppo a colpire nella terra dei “kuffar” nel caso non sia possibile emigrare nelle terre del “califfato”, come indicato ad esempio dal recente video Inside the Khilafah 8.
Rivendicazione-lampo e secondo un formato standard: fattori che suggeriscono l’urgenza di piantare la bandiera il prima possibile. Perché non prima e perché in una modalità così poco spettacolarizzata?
La prima domanda non è di facile soluzione. Sia nel caso di una effettiva affiliazione che in sua assenza è possibile che IS aspettasse cautamente, monitorando la situazione e forse sperando in nuovi attacchi. Il gruppo inoltre si è dimostrato restio a rivendicare azioni compiute da suoi operatori – veri o presunti – ancora in vita: troppo alto il rischio di ritrattazioni, fallimenti o pentimenti. Ci sono ovviamente notevoli eccezioni come quella di Sayfullo Saipov, autore sopravvissuto di un attacco a New York il primo novembre 2017 il quale ha chiesto di poter appendere un vessillo di IS nella propria stanza d’ospedale. Pur essendo stati sin dall’inizio incerti i collegamenti tra il gruppo e Chekatt IS ha voluto scommettere sui fatti di Strasburgo: un riferimento è infatti presente su Al-Naba, il suo gazzettino settimanale, diffuso poco prima della notizia della morte dell’attentatore.
Questa scommessa nasce forse da una corretta lettura che IS ha fatto della situazione e che contribuisce a rispondere alla seconda domanda: dopo anni di attacchi e propaganda il gruppo ha “educato al terrore” la sua audience, una reazione quasi pavloviana che ha spinto molti ad attribuire a IS quanto è accaduto sin dall’esplosione dei primi colpi e quindi molto prima della rivendicazione ufficiale, in qualche modo quasi “superflua” se si considerano le reazioni causate. Certamente molteplici fattori hanno contribuito a creare condizioni favorevoli a questo collegamento: il periodo e i mercatini natalizi rimandano inevitabilmente alla memoria l’attentato di Anis Amri a Berlino ma anche i disordini avvenuti in Francia nelle ultime settimane sono stati cavalcati (in modi diversi) sia da gruppi pro-IS che al-Qaeda; negli stessi giorni non sono poi mancati sospetti su possibili attacchi da parte di estremisti politici.
L’attesa quasi ansiosa creata da questi episodi (prima) e il massiccio intervento dei media (poi) ha portato IS ad ottenere il massimo risultato con un minimo sforzo, semplicemente facendo leva sui meccanismi usuali della nostra comunicazione e sui timori della società. La rivendicazione permetterà al gruppo di non lasciar cadere il silenzio sulla faccenda dopo pochi giorni, rintuzzando le braci del terrore per prolungarne gli effetti. Due osservazioni conclusive a riguardo:
- IS è sotto attacco e molti ritengono (a torto) che il “califfato” sia terminato. Questo forse avrebbe potuto concedere un respiro di sollievo ma a sentire Chekatt le sue azioni sono state attuate “per vendicare i fratelli siriani”. Prima i “soldati” di IS si immolavano per sostenere il “califfato”: se questo crolla, quanti si lanceranno all’attacco per vendicarlo? L’eredità di IS sarà un nemico tanto pericoloso quanto lo è stata la stessa organizzazione;
- Un punto fondamentale non è capire se Chekatt fosse effettivamente l’ennesimo e stereotipato “lupo solitario” o “cane sciolto” di IS ma comprendere le mutate circostanze della “nuova normalità” del terrore, di cui l’eredità di IS è parte integrante. Non è cambiato un dettaglio ma un sistema: sempre più attacchi colpiscono le nostre società da diverse direzioni – estremismi religiosi ma anche politici e ideologici – e quindi l’azione iniziata IS svolta nel tempo nelle nostre società si nutrirà anche delle azioni di questi altri attori, arrivando forse persino al risultato di un “effetto IS” anche in assenza di quest’ultimo. Sta quindi alle nostre società calibrare per tempo le risposte più opportune e non abbassare la guardia di fronte alla minaccia multiforme e sempre pronta a colpire del terrorismo, come i fatti di Strasburgo hanno tragicamente ricordato.