Oggi, 18 dicembre, i media comunicano che la Procura di Palermo ha aperto un’indagine dopo che i servizi segreti hanno segnalato la possibile presenza di terroristi tra gli immigrati sbarcati negli ultimi mesi in Sicilia. Sul caso indaga anche la Procura di Milano: si legge che inquirenti milanesi hanno utilizzato lo “strumento normativo delle intercettazioni cosiddette preventive” per “verificare ipotesi di terrorismo individuale, nonché le segnalazioni, provenienti da svariate fonti, relative all’adesione-partecipazione allo ‘stato islamico’”. Di massima la notizia è abbastanza “sotto traccia”, e ciò è bene considerata la sensibilità politica intorno al tema migrazione e a quello terrorismo: due questioni capaci di mobilitare la “pancia” della politica e della gente e che, invece, hanno bisogno di politiche rigorose frutto di una analisi fredda e consapevole.Scrissi anni addietro per sostenere la non utilità da parte dei gruppi terroristi di usare i flussi di clandestini per infiltrare loro operativi. Ed era così per i caratteri che aveva allora l’area mediterranea, il sistema di relazioni tra i gruppi, il modus operandi degli stessi e altre questioni “tecniche”: nel complesso quella strada di infiltrazione era scomoda e rischiosa rispetto alle altre possibili.
Ma le cose sono cambiate, è quello che era improbabile perché non funzionale al terrorismo allora, adesso è diventato probabile.
Già ad agosto 2014, da Dubai si segnalava l’arresto da parte algerina, su segnalazione dell’intelligence, di “200 Syrians who had been hoping to reach Italy with the help of Libyan Islamists. The Libyan had promised to smuggle them by boat, a security source said on Tuesday. Algeria, like other countries in North Africa, is worried that militant Islamists are exploiting Libya’s chaos to smuggle weapons, train fighters and send migrants to Europe — possibly to bring in cash to fund their operations”
Le ragioni che mi portano a delineare questo scenario sono diverse:
un surplus di manodopera combattente: IS ha attratto numerosi combattenti stranieri (quelli che chiamiamo “foreign fighter”), molti dei quali permangono per un periodo limitato in area di operazioni e poi rientrano. Si tratta di uomini che hanno acquisito competenze operative e sono abituati a usarle. Il numero dei reduci del jihad è in potenziale aumento
indirizzi specifici di alcuni mullah, comparsi in forum e chat islamiste, invitano i jihadisti ad addestrarsi con IS ma a non morire nel califfato, ma a tornare nei paesi di origine per portarvi il jihad
il modus operandi del terrorismo è cambiato: si è passati dall’attentato organizzato con cellule strutturate in ruoli specifici, a quello “random” attuato dai lone wolf. I combattenti rientrati “a casa” diventano (utilizzando termini da cyber warfare) degli “zombie” attivabili con segnali deboli e de-strutturati su soft target
la situazione nord africana è completamente destabilizzata e conflittuale: il controllo è sempre più problematico da parte delle istituzioni legittime via via sostituite da gruppi che si ispirano all’islam radicale. In questo contesto, inoltre, le branch già legate ad al-Qaeda hanno prestato giuramento di fedeltà al Califfato e sono in relazione organica con strategie e politiche di IS
le politiche di alcuni stati nord africani sono orientate alla identificazione, incarcerazione e/o non ammissione nel paese dei propri cittadini combattenti del jihad. Per esempio, il Marocco adotta questa politica temendo che i jihadisti rientranti commettano attentati nel Paese, come accadde a Casablanca nel 2003 con gli attacchi commessi dai combattenti di ritorno dall’Afghanistan
Al-Qaeda nel Magreb (AQIM) è da tempo un consolidato service provider dei trafficanti di uomini che gestiscono i flussi di clandestini: ultimamente la relazione tra criminalità organizzata che gestisce il traffico e terrorismo che provvede alla sicurezza dei traffici è sempre più stretta, da cui la facilità e funzionalità nell’usare questi flussi (in progressivo aumento) da parte dei terroristi.
La combinazione di questi fattori, oggi, mostra come l’impiego dei canali di immigrazione clandestina possa essere funzionale a un disegno destabilizzante per portare il jihad in Europa e sia diventata una possibile pratica da utilizzare.
Detto questo, che mi sento di sostenere con una analisi, è importante elaborare strategie lucide e consapevoli affinché la tutela della sicurezza e la lotta al terrorismo non legittimino interventi estensivi e “debordanti”: più che mai “fare di tutte le erbe un fascio” sarebbe controproducente proprio sul piano pratico.